Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA LEZIONE DI COVRE
Un giorno ci sfidammo a duello. Non di spada ma di lingua. Sfida sul dialetto. Io di madre nordestina e padre siciliano, da Castelfranco, Destra Piave. Lui veneto doc, da Oderzo, Sinistra Piave. Io mezzo veneto doc - si parlava di radici e di confini fisici-politici-culturali -dissi al doc intero che conoscevo il dialetto meglio di lui. Anche quello arcaico della civiltà contadina nelle variabili lessicali (reciprocamente incomprensibili) dei cento serenissimi dialetti-lingue di paesi e città.
Si mise a ridere, ma accusò il colpo quando gli spianai la forza poetica di una delle più belle parole uscite dalla bocca di questa terra: someja.
Ammutolì, toccandosi i baffi sotto quegli occhi sempre troppo intelligenti. «Visto che non lo sai? - gli feci Che se voglio sono più veneto di te...». Rise ancora, si arrese, tradussi: «Significa fotografia».
Someja da somejar, assomigliare. Un miracolo lessicale uscito da una semi ovvietà, la parola più giusta che il veneto numero zero del contagio linguistico abbia potuto inventare nominando per la prima volta - con l’uso delle cose da cui le parole nascono - una cosa nuova. La fotografia. Lui si vendicò con una raffica di termini che mezzi capii e mezzi no, ma alla fine della nostra disfida venne fuori il suo manifesto politico: un appassionato regionalismo declinato in forma federale e di stampo dichiaratamente Europeo.