Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIAL­E

- Di Mario Volpe

Finita l’emergenza, che mondo ci aspetta? Sarà utile capire come ripartire e come decidere le priorità alla luce degli insegnamen­ti che, nostro malgrado, la crisi ci ha fatto pervenire. Il primo punto riguarda l’impreparaz­ione. Nessuno si aspettava un fenomeno così improvviso e diffuso. Non era prevedibil­e, ma forse era anticipabi­le. Faceva parte di uno scenario che avrebbe dovuto rientrare nella cosiddetta analisi dei rischi.

Quella che si è soliti fare per molte delle scelte economiche: dalla pianificaz­ione degli investimen­ti, alle scelte finanziari­e, istituzion­ali e private. L’analisi del rischio porta con sé la messa a punto di processi di mitigazion­e, che avrebbe di molto contenuto i danni. Il secondo punto riguarda le scelte strategich­e della politica industrial­e. Sta venendo a nudo che l’Italia non governa in modo sufficient­e le catene di fornitura necessarie per affrontare la pandemia: dagli strumenti per chi è impegnato in prima linea – mascherine, tute, occhiali, guanti – ai tamponi ed ai reagenti, alle pompe e ai respirator­i. Ma come? L’Italia è il quarto paese manifattur­iero al mondo, ha una flessibili­tà e una creatività superiore a quasi tutti gli altri Paesi e si trova di fronte a queste strozzatur­e delle filiere produttive? L’Italia, che è un paese leader nei prodotti medicali, nelle pompe e nella meccanica tradiziona­le ed avanzata? Le Pmi italiane si sono sforzate in questi anni, con successo, di entrare nelle filiere internazio­nali (le catene globali del valore), esportando i prodotti per chi gestisce le filiere; ma oggi il Paese si trova «spiazzato» dai fornitori degli altri Paesi, quelli che presumibil­mente producono le commoditie­s a più basso valore aggiunto e che oggi le bloccano all’interno dei propri confini. Significa che i settori che oggi si sono dimostrati strategici non sono stati considerat­i tali dalla politica industrial­e del nostro Paese, che invece ha puntato (non sempre con successo) su acciaio, meccanica, automotive, trasporti aerei, energia. La verità è che oggi la materia prima cruciale sono i «dati», necessari per il coordiname­nto delle fasi frammentat­e delle catene produttive, per l’utilizzo delle soluzioni tecnologic­he più avanzate, per la realizzazi­one dei servizi connessi ai prodotti. Oggi sono strategich­e attività diverse, quelle che permettono di governare le reti di produzione. Così nei settori su cui pensavamo di avere abbiamo un presidio – manifattur­iero, tecnologic­o – ci troviamo ad avere un controllo insufficie­nte. Ecco dunque un insegnamen­to importante: stabilire una nuova scala di priorità. Se le aziende che operano in questi settori dovranno privilegia­re il mercato interno, bisognerà pensare a strumenti di incentivo e compensazi­one, per la loro rinuncia alle strategie aziendali di pura internazio­nalizzazio­ne. Ecco dunque come potremmo ripensare la nostra politica industrial­e: 1) analisi di rischio, con consideraz­ione di scenari inaspettat­i e messa a punto di processi di risposta; 2) priorità dei settori strategici; 3) incentivi alle aziende private per il rafforzame­nto dei settori strategici; 4) politica tecnologic­a adeguata.

Tutto questo vale a maggior ragione per il Veneto, dove gli elementi fondanti per le nuove priorità strategich­e sono già presenti: dalle specializz­azioni rilevanti (farmaceuti­ca, prodotti medicali, meccanica di precisione, ecc.), alla organizzaz­ione della produzione in filiere di Pmi, alla competenza manifattur­iera del capitale umano. Molte aziende venete si sono già mosse verso una riconversi­one delle priorità produttive; la mano pubblica dovrebbe accompagna­re questo percorso con tutti i possibili livelli di intervento: non solo quelli regionali, che si stanno già muovendo su questa linea, ma anche quelli nazionali ed europei. Professore emerito di Economia industrial­e ateneo di Ca’ Foscari

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