Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE
Finita l’emergenza, che mondo ci aspetta? Sarà utile capire come ripartire e come decidere le priorità alla luce degli insegnamenti che, nostro malgrado, la crisi ci ha fatto pervenire. Il primo punto riguarda l’impreparazione. Nessuno si aspettava un fenomeno così improvviso e diffuso. Non era prevedibile, ma forse era anticipabile. Faceva parte di uno scenario che avrebbe dovuto rientrare nella cosiddetta analisi dei rischi.
Quella che si è soliti fare per molte delle scelte economiche: dalla pianificazione degli investimenti, alle scelte finanziarie, istituzionali e private. L’analisi del rischio porta con sé la messa a punto di processi di mitigazione, che avrebbe di molto contenuto i danni. Il secondo punto riguarda le scelte strategiche della politica industriale. Sta venendo a nudo che l’Italia non governa in modo sufficiente le catene di fornitura necessarie per affrontare la pandemia: dagli strumenti per chi è impegnato in prima linea – mascherine, tute, occhiali, guanti – ai tamponi ed ai reagenti, alle pompe e ai respiratori. Ma come? L’Italia è il quarto paese manifatturiero al mondo, ha una flessibilità e una creatività superiore a quasi tutti gli altri Paesi e si trova di fronte a queste strozzature delle filiere produttive? L’Italia, che è un paese leader nei prodotti medicali, nelle pompe e nella meccanica tradizionale ed avanzata? Le Pmi italiane si sono sforzate in questi anni, con successo, di entrare nelle filiere internazionali (le catene globali del valore), esportando i prodotti per chi gestisce le filiere; ma oggi il Paese si trova «spiazzato» dai fornitori degli altri Paesi, quelli che presumibilmente producono le commodities a più basso valore aggiunto e che oggi le bloccano all’interno dei propri confini. Significa che i settori che oggi si sono dimostrati strategici non sono stati considerati tali dalla politica industriale del nostro Paese, che invece ha puntato (non sempre con successo) su acciaio, meccanica, automotive, trasporti aerei, energia. La verità è che oggi la materia prima cruciale sono i «dati», necessari per il coordinamento delle fasi frammentate delle catene produttive, per l’utilizzo delle soluzioni tecnologiche più avanzate, per la realizzazione dei servizi connessi ai prodotti. Oggi sono strategiche attività diverse, quelle che permettono di governare le reti di produzione. Così nei settori su cui pensavamo di avere abbiamo un presidio – manifatturiero, tecnologico – ci troviamo ad avere un controllo insufficiente. Ecco dunque un insegnamento importante: stabilire una nuova scala di priorità. Se le aziende che operano in questi settori dovranno privilegiare il mercato interno, bisognerà pensare a strumenti di incentivo e compensazione, per la loro rinuncia alle strategie aziendali di pura internazionalizzazione. Ecco dunque come potremmo ripensare la nostra politica industriale: 1) analisi di rischio, con considerazione di scenari inaspettati e messa a punto di processi di risposta; 2) priorità dei settori strategici; 3) incentivi alle aziende private per il rafforzamento dei settori strategici; 4) politica tecnologica adeguata.
Tutto questo vale a maggior ragione per il Veneto, dove gli elementi fondanti per le nuove priorità strategiche sono già presenti: dalle specializzazioni rilevanti (farmaceutica, prodotti medicali, meccanica di precisione, ecc.), alla organizzazione della produzione in filiere di Pmi, alla competenza manifatturiera del capitale umano. Molte aziende venete si sono già mosse verso una riconversione delle priorità produttive; la mano pubblica dovrebbe accompagnare questo percorso con tutti i possibili livelli di intervento: non solo quelli regionali, che si stanno già muovendo su questa linea, ma anche quelli nazionali ed europei. Professore emerito di Economia industriale ateneo di Ca’ Foscari