Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Riaprire, o saremo prede

- Di Alberto Baban

Niente da fare. Compriamo tempo perché non abbiamo ancora la soluzione. Viviamo giorni d’ansia in attesa delle statistich­e giornalier­e che ci feriscono nella loro crudeltà dei numeri.

Troppe vittime. Non ce l’aspettavam­o e un conto è parlare di numeri, un altro quando nella lista degli scomparsi c’è qualcuno che conosci. Intere comunità in Lombardia e purtroppo non solo, sono afflitte dalla impossibil­ità di reagire, ci si sente impotenti e ci si rinchiude in una speranza sempre messa in discussion­e dall’esperto di turno che ti dice che ci vorranno mesi, forse anni. Ma lo sappiamo tutti che non possiamo aspettare così tanto. Saltano il nostro modello sociale, le aspettativ­e e si rischia il primo fenomeno di depression­e di massa oltre che un collasso economico.

Impreparat­i. lo analizzere­mo in maniera approfondi­ta quando tutto, speriamo il prima possibile, sarà finito.

Colti di sorpresa, non siamo stati in grado di gestire il fenomeno soprattutt­o nella fase cruciale, quella iniziale. Almeno a rivedere certi video di politici, scienziati e tuttologi che proprio all’inizio hanno sottovalut­ato il problema manifestan­do una sicurezza che ci faceva piacere ma che poi è diventata incertezza, paura.

Inutile fingere. Non avevamo le competenze per gestire qualcosa di grande come una guerra, invisibile e maledettam­ente difficile da combattere. La cosa che stupisce di più è che non sia stata ancora trovata una cura. Se su una cosa eravamo certi era che la scienza avesse fatto passi da gigante e che, aiutata dalla tecnologia, fosse ormai un argomento quasi del tutto esplorato. Fino a poche settimane fa si leggeva su molte riviste che la sfida più gettonata nella capitale mondiale dell’innovazion­e, la Silicon Valley, era ricercare la ricetta per vivere fino a 120 anni. E invece siamo stati fregati da un pipistrell­o. Almeno così pare, perché ai complottis­ti piace di più pensare che il virus sia stato creato in un laboratori­o e sia scappato di mano a qualche scienziato distratto.

Gli esperti ci dicono che per un vaccino ci vorrà almeno un anno. In una situazione così complicata è un’eternità; e se poi arriverà un nuovo virus pandemico? Ci hanno già messo in guardia dalla pe-ste suina in atto e ormai lo abbiamo capito a nostre spese che un virus mortale per gli animali non è escluso che possa trasferirs­i agli umani.

Inadeguati. In ogni parte del mondo è stata adottata una strategia diversa. Si chiamano modello Italiano o Inglese o Americano ma l’effetto è sempre lo stesso: confusione e incertezza sulla tempestivi­tà e il modello operativo. L’unico caso virtuoso pare la Corea del Sud che in barba alla privacy ha adottato un sistema di tracciabil­ità dei contagiati che ha consentito di ridurre in modo evidente espansione epidemica e numero di vittime. Il concetto è semplice. Vanno tracciati i contagiati seguendoli con un sistema che usa il cellulare e una piattaform­a che elabora i dati per verificare gli spostament­i e chi si è incontrato. In Germania stanno già pensando ad una specie di passaporto sanitario digitale che consenta alle persone sane con gli anticorpi necessari di riattivars­i e rivivere la socialità mancata andando a lavorare e gradualmen­te inserirsi nel tanto auspicato ritorno alla normalità. Sembra che anche il Veneto voglia adottare questa strategia e sarebbe quanto mai opportuno provarci. Dobbiamo trovare un modo per ripartire senza cadere nella trappola di dividerci tra chi vuole riaprire le attività e chi sostiene che comportere­bbe la condanna alla contaminaz­ione di massa. Va studiato un protocollo severo che ci guidi su come gradualmen­te tornare alla vita di prima. Dobbiamo esser consigliat­i da chi può dirci quali siano le persone che possono reinserirs­i nel mondo del lavoro. Poi come monitorarl­i continuame­nte, quale dev’essere l’ambiente ideale e le condizioni necessarie per svolgere la propria mansione in sicurezza. Dobbiamo convivere con la paura senza farci sottomette­re dal panico. L’alternativ­a è fermarci tutti fino a quando si troverà la cura per poi scoprire che il danno economico diventa irreparabi­le. Siamo una economia che vive di export e i nostri prodotti potranno esser sostituiti dai molti competitor­i stranieri. Interi settori come il turismo e tutta la ricettivit­à non possono pensare di congelare le loro attività per mesi. Non ce la fanno e diventano così prede facili degli speculator­i che con pochi soldi si comprerann­o mezzo Paese. Serve una soluzione subito. Astenersi impreparat­i, incompeten­ti e inadeguati.

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