Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Fra gli operai nel capannone «Quindici metri di distanza»
La Facco di Massimo Finco (Confindustria) non si ferma
PADOVA Alla «Facco» di Campo San Martino, in provincia di Padova, l’attività non si è mai interrotta. È di proprietà del confindustriale Massimo Finco e lì si costruiscono impianti per l’allevamento di polli destinati soprattutto all’estero. «Non è un prodotto di prima necessità» fanno notare i sindacati. Ma Finco è convinto di avere le carte in regola per produrre.
CAMPO SAN MARTINO (PADOVA) «Il virus mi preoccupa, è ovvio. Ma mia moglie fa l’infermiera e francamente non credo che lavorando qui dentro potrò correre più rischi di quanti ne affronti lei, tutti i giorni, in ospedale...». Scrolla le spalle e sale in auto. Si chiama Giuseppe, è un operaio specializzato e ieri, a turno finito, aveva soltanto voglia di tornarsene a casa con ancora indosso la tuta da lavoro. Sul taschino si leggeva il nome dell’azienda: Facco e C. Officine. È l’impresa che fa capo a Massimo Finco, il presidente vicario di Assindustria Venetocentro. Un colosso del settore metalmeccanico: vende in tutto il mondo impianti per l’allevamento di polli e ha sede a Marsango di Campo San Martino, proprio nello stabilimento in cui lavora Giuseppe assieme ad altri 150 tra operai, impiegati e diri genti.
La realizzazione di strutture che poi verranno impiegate «per la produzione di uova e carne - recita il sito ufficiale con elevate prestazioni di qualità e standard di salute e igiene» non rientra formalmente nella lista delle imprese che realizzano beni di prima necessità. Eppure qui il lavoro non si è mai interrotto. Impiegati e dirigenti sono in smart working, ma gli operai - anche se a ranghi ridotti - timbrano regolarmente. «La scorsa settimana la produzione era molto rallentata, ma ora si va più spediti» spiega Franco Tombolato, delegato della Fiom Cgil che lavora alla Facco. Ieri in servizio c’era una ventina di tute blu. «Solo pochi di noi stanno portando avanti la produzione vera e propria, il resto si occupa soprattutto di imballare e spedire in Asia il mate
Come si può pensare che gli impianti per allevare galline in Estremo Oriente siano un bene essenziale per il nostro Paese?
necessario alla realizzazione degli impianti per l’accasamento di polli e uova». Come Giuseppe, anche Tombolato sembra tranquillo: «Indossiamo le mascherine e si lavora a quindici metri di distanza gli uni dagli altri. Spetta ai prefetti valutare, ma personalmente credo ci siano dei motivi validi per continuare a produrre».
Le segreterie sindacali la vedono diversamente. Nicola Panarella, della Fim Cisl di Padova, la mette in questi termini: «Come si può pensare che gli impianti per allevare galline in Estremo Oriente siano un bene essenziale per l’Italia? Vogliono farci credere che se la Cina rinunciasse a far schiudere 50 mila uova si favorirebbe la diffusione del virus? Ma sia chiaro che non mi va di puntare il dito contro la Facco perché di casi del genere, purtroppo, ce ne sono a decine in Veneto. E tutti gli imprenditori si difendono allo stesso modo, sostenendo che la propria azienda è fondamentale per la filiera. C’è il produttore di marmitte che dice di essere necessario per mandare avanti i trattori che arano i campi da coltivare, quello che costruisce ventilatori per il raffreddamento dei pc che si giustifica ricordando che anche gli ospedali hanno i computer... Se si continua così, chiunque troverà un buon motivo per non chiudere».
Loris Scarpa, segretario della Fiom Cgil di Padova, ricorda: «Una settimana fa si discuteva quali fossero le imprese davvero essenziali. Prendiamo atto che oggi molte aziende hanno trovato il modo di continuare a produrre pur non essendo indispensabili». Il sindacalista ne fa una questione
di sicurezza del lavoratore: «Siamo a un bivio: o si apre una discussione complessiva sulle condizioni della ripartenza, mettendo al primo posto la salvaguardia della salute e il mantenimento dell’occupazione e del salario, oppure gli imprenditori si preparino a una stagione ancora più difficile e complicata».
Come prevede il decreto del governo, fin da subito i vertici della Facco hanno comunicato alla prefettura di Padova l’intenzione di non interrompere la produzione perché - recita il modulo - «funzionale ad assicurare la continuità delle filiere produttive industriali e commerciali autorizzate». E in assenza di un parere contrario, l’attività è proseguita. Il presidente Massimo Finco è assolutamente convinto non solo di avere le carte in regola per tenere aperto ma anche dell’importanza sociale della sua produzione: «Il genere di impianti che facciamo qui è indispensabile per garantire la filiera alimentare, perché i polli non si allevano sugli scaffali del supermercato ma hanno necessità di strutture adeguate, dove le uova possano schiudersi e i pulcini crescere». C’è poi un aspetto economico molto importante: «In tempi di crisi il consumo di carne di pollo aumenta perché è poco costosa. Garantirla, si gnifica anche tutelare gli interessi dei più poveri». È su questo («Oltre al fatto che, se non rispettassimo i tempi di consegna degli impianti, i clienti si ritroverebbe costretti a uccidere decine di migliaia di pulcini», aggiunge Finco) che ha fatto leva la comunicazione inoltrata dalla Facco alla prefettura.
C’è infine la questione della sicurezza. «Centinaia di dipendenti lavorano da casa prosegue il presidente - e i pochi operai che vengono qui, sono dotati di mascherine e sistemi di protezione. C’è a chi piace dipingere gli imprenditori come interessati solo ai schei, ma la verità è che l’unico vero tesoro di cui disponiamo - perché è ciò che dà forza alla nostra attività - sono proprio le persone. Per questo abbiamo a cuore la loro salute e il loro benessere».
In veste di presidente di Confindustria, Massimo Finco non ha mai nascosto il suo desiderio di ripartire al più presto. «Ma l’Europa dovrebbe muoversi in modo omogeneo. Invece ci sono Paesi che chiudono le aziende e altri che continuano a produrre, col risultato che i più spregiudicati rischiano di danneggiare i più responsabili. Se non vogliamo soccombere, serve una svolta».