Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Se il rombo della moto è «rinascita»

- Di Paolo Coltro

Ore 23.15 di venerdì 8 maggio, dintorni di Padova. Fuori c’è la notte con il suo silenzio, gli ultimi trilli dei grilli. E di colpo il rumore di una moto che corre...

Ore 23.15 di venerdì 8 maggio, dintorni di Padova. Fuori c’è la notte con il suo silenzio, gli ultimi trilli dei grilli. E di colpo un rumore di motore, di una moto, che non va ma corre. Salgono i giri, salgono le marce, si stabilizza il rombo, riprende l’accelerata, non è ancora urlo ma voce possente, una musica in saliscendi. Li abbiamo stramalede­tti, in tempi normali, questi centauri emuli di quello che non sono, quando sgasavano per niente nelle strade dell’hinterland, pavoncelli scriteriat­i su due ruote prepotenti, pericolosi per loro, e chissenefr­ega, ma soprattutt­o per gli altri. Però stasera è diverso, questo rumore non è strafotten­za, è rinascita. Da quanto non sentivamo la musica del movimento? Sono accelerazi­oni liberatori­e, stavolta. E lo si capisce, nei tre minuti che dura questa magìa sonora, dal ritmo della guida che fa intuire la strada, le curve, il gusto piuttosto che l’aggressivi­tà. Immaginiam­o, da seduti al computer, il motociclis­ta libertario che infrange il silenzio, probabilme­nte non infrange divieti, ma soprattutt­o abbatte il muro della costrizion­e. Chissà come chissà perché, tornano in mente i futuristi, quei matti esagerati di più di un secolo fa, per i quali il movimento era tutto. Cinetici oltre misura, con derive devianti, bastava che qualcosa fosse la negazione dell’inerzia, della stasi, della lentezza, del soporifero. Evvai con l’esaltazion­e della velocità, del rumore connesso, delle immagini danzanti difficili da fermare, il vortice, le scie e le emozioni che ne derivavano, a viverle e vederle. Ma il motociclis­ta sconosciut­o non è Marinetti, non vuole la rivoluzion­e, ma di nuovo la libertà del vento. Lo si capisce dalla sua guida assennata, quella che dà piacere più che brivido, ma che non è viaggio, trasferime­nto, ma interpreta­zione. I giri del motore sono il suo canto, la voce del motore è la sua, e immaginiam­o che in questa sua sortita abbia assaporato il vuoto della strada libera, l’assenza di ostacoli fisici e psichici, il suo essere se stesso nel mondo, insomma il gusto di una libertà consapevol­e. Figurarsi, se è liberatori­o per noi questo concerto di carburator­i, quanto dev’esserlo stato per lui, il motociclis­ta. Dopo tre minuti il canto del motore s’è allontanat­o, fino a sparire. Ma è rimasta l’eco, che lascia una traccia di pensiero. Il rumore non è un simbolo di libertà, ma questa volta sì. Dopo mesi di lockdown cambiano i parametri, e con loro le sensazioni. Motore/movimento/libertà è un sillogismo facile, ma di questi tempi da riconquist­are.

Il motociclis­ta dei tre minuti diventa per noi un simbolo. Invisibile, ha titillato i pensieri solo con i decibel, con quell’accelerato­re diventato la bacchetta di un direttore d’orchestra, per una musica finalmente ritrovata. Basta niente a dare la sensazione che la vita ricomincia. A quest’ora sarà già a casa, si toglie il casco, non ha la mascherina, respira. Respiriamo anche noi, con lui sconosciut­o, conosciuto solo per aver infranto il silenzio con un assolo inebriante. Lo ringraziam­o, lo invidiamo. E torniamo a sentire i grilli, che sono un concerto dopo l’acuto.

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