Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Carlon: «Riaprirò Palazzo Maffei con 5 secoli di arte»
Luigi Carlon: ci stiamo organizzando, sarà sicuramente dopo il 18 maggio
«Ci stiamo organizzando, alla luce dei protocolli appena emanati dal Mibact. Desideriamo riaprire il prima possibile, ma vogliamo garantire al massimo la sicurezza di dipendenti e visitatori. Stiamo studiando la formula della riapertura nelle fasi iniziali, definendo orari e modalità di accesso. Non sarà il 18 maggio, ma l’obiettivo è schiudere le porte il prima possibile». A parlare è Luigi Carlon, che intende orientarsi così riguardo alla riapertura di Palazzo Maffei a Verona, la casa-museo inaugurata lo scorso febbraio – e costretta subito alla chiusura per l’emergenza sanitaria - con cui l’imprenditore e collezionista veronese ha reso fruibile al pubblico la sua straordinaria raccolta d’arte. Un percorso espositivo che cavalca oltre cinque secoli, con 350 opere, dai fondi oro trecenteschi a capolavori di Picasso, De Chirico, Mirò, Kandinsky, Magritte, Fontana, Burri e fino al contemporaneo presto di nuovo a disposizione per farsi ammirare.
Condividere tanti capolavori: un atto di generosità, i collezionisti in genere sono gelosi.
«Li ho scelti, li ho rincorsi talvolta, ma nel tempo ho compreso che il loro valore universale imponeva di metterli in relazione con altri: le opere sono tasselli di storia, segni di cambiamenti sociali, espressioni di creatività o di maestria, messaggi che l’artista lascia alla società e che parlano attraverso gli occhi di chi li guarda. Da anni coltivavo questo sogno. Palazzo Maffei per me è un’altra “casa” in cui godere della mia collezione. Lei la chiama generosità, io lo chiamo entusiasmo e forse idealismo».
Che cosa significa per lei il legame col territorio?
«Significa moltissimo, è un riferimento identitario. Lo dimostra anche la mia raccolta che per l’arte antica ha in prevalenza opere legate a Verona e al territorio veronese e regionale».
La prima opera importante che ha acquistato è stata «Il saluto dell’amico lontano» di De Chirico. Cosa l’intrigava di questa tela?
«Tutto probabilmente. Gli accostamenti cromatici inusuali, i rimandi simbolici e gli oggetti apparentemente giustapposti: l’occhio, la busta, il pane, un biscotto krumiro. In fondo l’enigma».
Quali sono i tre pezzi che ama di più della collezione?
«La Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida di Van Wittel, Jeanne dans l’atelier (Femme lisant) di Severini e il Magritte, La fenêtre ouverte: una tela scardinante dal punto di vista compositivo e d’illuminazione, piena di scelte funamboliche e mistero».
Qualche follia fatta per acquistare un’opera?
«Piccole follie...non esageriamo. Sicuramente il fatto di aver chiesto un prestito in banca per comprare, in due occasioni diverse, due opere che ritenevo fondamentali. Erano gli anni Novanta, capivo di non potermi permettere in quel momento uscite così rilevanti, ma non volevo perderle».
Quella che più rimpiange di essersi fatto sfuggire e quella che vorrebbe acquistare?
«C’è un Bacon a cui ho rinunciato che mi è rimasto nel cuore. Una tela forte, con quella decomposizione del fisico e del volto che troviamo nei lavori dell’artista. A quel tempo non mi sono sentito di portarla in casa, con le bambine ancora piccole e suggestionabili. Invece un acquisto a cui tengo è un dipinto di Paolo Farinati, un’Allegoria di Verona: sarebbe un’importante aggiunta al nucleo veronese. Vediamo se sarà possibile».
A quali autori contemporanei è interessato?
«Ho acquistato negli ultimi anni opere di Nannucci, Sassolino, Nunzio, Cattelan, ma ci sono una serie di artisti italiani che sto seguendo come Enrico Devid, Alessandro Pessoli, Pietro Roccasalva che ritengo stiano facendo un bel percorso di sperimentazione».
Che cosa vede nel suo futuro?
«Tantissimi progetti per Palazzo Maffei. Avevamo annunciato la volontà di farne un luogo vivo. Il prossimo step è la sistemazione del piano superiore, per avere un grande spazio dedicato a esposizioni temporanee e attività collaterali. Insomma, non mi fermo di certo».