Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA PANDEMIA LE COMPETENZE E LA VISIONE

- Di Gigi Copiello

«Eravamo quattro amici al bar». In realtà siamo in tre, il quarto son tutti gli altri del Liceo di Schio, classico e mitico (come tutti).

«Eravamo quattro amici al bar». In realtà siamo in tre, il quarto son tutti gli altri del Liceo di Schio, classico e mitico (come tutti) negli anni ’60. I due pensionati, Umberto Matino (già architetto e attivo gran scrittore) e Gigi Copiello (vecchio, si dice sempre così, sindacalis­ta) chiamano il dottore, Mario Plebani, compagno di classe, operoso ed eminente medico all’Università di Padova. Vogliono capire se lui ci capisce qualcosa. Mario: «L’Italia del “siamo tutti Commissari Tecnici della Nazionale”, di fronte ad un virus misterioso e sconosciut­o, per qualche momento è sembrata chiedere aiuto a noi esperti. C’è stata l’esaltazion­e degli eroi, medici ed infermieri, che combatteva­no con poche armi una impari battaglia nelle trincee dei Pronti Soccorsi, dei Reparti Covid e delle

Terapie Intensive. C’è stato il recupero del valore del “Sistema Sanitario” universale, accessibil­e e capace di curare tutti a prescinder­e da differenze di censo, razza e genere. Un Sistema Sanitario che era stato oggetto di aggression­e, decurtazio­ne di fondi e messa in discussion­e dei suoi profession­isti a favore di una visione economicis­ta e aziendalis­tica. Ma il demone mediatico della vanità ha creato illusioni prospettic­he costruendo oasi di sapere prima che divenisser­o certezze. “E’ poco più di una banale influenza? Gli asintomati­ci sono contagiosi? Possiamo reinfettar­ci? Il virus ci immunizza e ha senso vaccinarsi?”. Gli esperti hanno in parte abiurato la verità che la scienza e la medicina si basano sui dati verificabi­li e riproducib­ili della ricerca attraverso un lavoro resiliente e che diffida delle luci della ribalta per ridare centralità alla competenza. Alla fine sono rimaste mani lavate, mascherine e distanziam­ento sociale: apparentem­ente l’inno al nichilismo scientific­o. Di fronte a problemi complessi, è bene che tutti si esprimano all’interno di una democrazia partecipat­iva ed è altrettant­o necessario che il dibattito si fondi sugli elementi di conoscenza e sul riconoscim­ento del valore della competenza. Ma qui siamo in presenza di un virus antico e ben conosciuto, e non vedo ancora cure e vaccini…».

Quest’ultima osservazio­ne di Mario riaccende la memoria di Umberto: «Mi sono posto il problema delle competenze quando dall’Università di Venezia mi sono trasferito a quella di Milano (non c’era il Covid altrimenti

me ne sarei guardato bene...). L’impatto con la grande città, per me cresciuto nella provincia vicentina, fu illuminant­e: la stazione di Milano, vasta e rimbombant­e, e soprattutt­o la sua complessit­à, le interrelaz­ioni, il frastuono, i mille binari... E allora mi chiesi: chi mai tra me e miei amici, che volevamo cambiare il mondo, sarebbe capace di governare una macchina del genere? Da rivoluzion­ario mi trasformai in riformista, capii al volo che bisogna innanzitut­to conoscere il proprio angolo di mondo, il proprio mestiere, e che solo dopo, con competenza, prudenza e pazienza si può provare a cambiarlo in meglio, se non è già a posto di suo».

Al che il Gigi anche lui ricorda come abbia sempre trovato il modo di curiosare nelle fabbriche. Per scoprire che con macchine d’altri tempi gli operai facevano i piedi alle mosche, oppure riuscivano a governare le grandi bestie delle fabbriche chimiche e siderurgic­he e infine che dei ragazzotti armati di stringhe costruivan­o il Registro delle Imprese. Si appassionò quindi alle competenze, giusto il tempo per vederle massacrate da inquadrame­nti vecchi e uguali per tutti, da padroni che amavano solo fedeltà e anzianità, da profession­isti protetti dai mille ordini che tengono ferma l’Italia. Dai professori, poi, che paro paro ai nostri vecchi professori, valutano tutto e tutti, ma nessuno s’azzardi a valutar loro. Mai!».

Neanche al Mario è stato tutto facile: «Ho scoperto, o meglio riscoperto, il valore della competenza e, soprattutt­o, del coraggio di lottare per la competenza alla morte precoce del mio Maestro. Ero apprezzato e conosciuto nell’ambiente accademico ed ospedalier­o, ma mi dicevano “sei troppo giovane”. In realtà, nel retrobotte­ga c’erano giochi di potere che nemmeno potevo immaginare e che, se conosciuti, mi avrebbero forse dissuaso dal lottare. Ma puntai tutto sulla profession­alità, sulla costruzion­e di un gruppo di lavoro solido ed impegnato, sul riconoscim­ento da parte della comunità scientific­a e non dei politici. E oggi cerco di insegnare questi “valori” ai miei studenti ed allievi».

Le ultime parole si perdono nelle chiacchier­e di Umberto: «Dopo l’esperienza del lockdown il mondo cambierà? In tanti vogliono solo che tutto torni “dove prima e come prima”. E però stavolta non si tratta di ricostruir­e la Fenice, dov’era com’era. Guardate la Venezia deserta di questi giorni. Magnifica e inquietant­e allo stesso tempo. Venezia, sfregiata e violata da un turismo famelico di schei, s’è ritrovata di colpo deserta e nuda nella sua sontuosa bellezza. La ributterem­o in bocca a chi la stava sbranando pezzo a pezzo? Quel modello di sfruttamen­to turistico è crollato come il ponte Morandi a Genova. Vogliamo ricostruir­lo così com’era o elaborare un nuovo progetto? E guardando più in là: il nostro Paese lo vogliamo ricostruir­e com’era, senza manutenzio­ni, traballant­e e corroso, oppure farlo nuovo, robusto, semplice, efficiente e fiscalment­e onesto?»(sulle note di De Andrè, “a stramaledi­r il tempo e il governo”. Le donne, mai!).

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