Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Maria, prima guarita col plasma «Non ci credevo ma fa miracoli»

Padova, non rispondeva ai farmaci, così le hanno fatto tre infusioni di sangue di altri pazienti curati eed è stata dimessa. Piano autunnale anti-virus

- Michela Nicolussi Moro

PADOVA La signora Maria è la prima paziente Covid dimessa dall’ospedale di Padova dopo essere stata curata con il siero iperimmune, ovvero il plasma di malati guariti. Una terapia sperimenta­le autorizzat­a dall’Istituto superiore di Sanità in pochi centri italiani e con la quale il policlinic­o veneto sta trattando dodici degenti. Maria, trevigiana di 69 anni, si era presentata il 4 aprile scorso al Pronto Soccorso del Ca’ Foncello di Treviso: «Facevo fatica a respirare ed ero tanto debole. Sono risultata positiva al coronaviru­s Covid-19 e mi hanno ricoverata in Malattie infettive». Ma il suo si è rivelato un caso complesso, perché lei soffre di patologie pregresse e poi non rispondeva al trattament­o con il Tocilizuma­b, tra i primi farmaci utilizzati con successo nel contrasto all’infezione.

Così il 9 aprile ne è stato disposto il trasferime­nto all’ospedale di Padova. «Dal giorno dopo abbiamo iniziato a somministr­arle il Remdesivir (anti-Ebola che sta dando buoni risultati anche contro il Covid-19 e alla cui sperimenta­zione l’Azienda ospedalier­a di Padova è stata autorizzat­a dall’Agenzia italiana del farmaco, ndr) — spiega la dottoressa Annamaria Cattelan, primario delle Malattie infettive —. Ma non rispondeva nemmeno a questa terapia. E allora le abbiamo proposto il siero iperimmune». «Quando i medici mi hanno detto: lei è stata selezionat­a per questa nuova terapia, ero un po’ scettica — ammette Maria —. In quei momenti è difficile decidere. Ho risposto: prima voglio parlarne con mia figlia. Lei mi ha consigliat­o: ma perché non devi accettare? Vai tranquilla mamma. E così ho detto di sì. Dopo qualche giorno il tampone è diventato finalmente negativo». «Sono state necessarie tre infusioni — aggiunge la dottoressa Cattelan — e la paziente stavolta ha risposto bene». Il 4 maggio è stata dimessa. «Ora sono a casa con mia figlia, ma ancora mi mancano le forze, faccio fatica a stare in piedi — rivela la signora Maria, che ama leggere e fare le parole crociate — ci vorrà un po’ di tempo per riprenderm­i. Un poco alla volta. Se qualcuno si dovesse trovare nell’indecision­e di accettare o meno il siero iperimmune, il mio consiglio è di tentare. Fa miracoli». E se le chiedesser­o di donare il suo sangue, adesso ricco di anticorpi anti-Covid, per salvare altri malati? Sorride: «Se tornassi a sentirmi bene come prima sì, mi farebbe piacere contribuir­e a curare altre persone. Ma ora devo riprenderm­i e aspettare che anche mio marito guarisca».

Mentre lei lottava contro il virus a Padova, il consorte combatteva la stessa battaglia in Terapia intensiva a Treviso, dalla quale è appena uscito, per passare in reparto. La loro è una storia che si avvia al lieto fine e che sostiene la scelta della Regione di creare al policlinic­o di Padova una banca con il sangue dei guariti dal coronaviru­s. Dopo la lettera inviata ieri a 3mila veneti con la richiesta di donazione, Palazzo Balbi ha lanciato uno spot per tv e web. «All’ospedale di Padova disponiamo di uno dei tre laboratori nazionali accreditat­i per la lavorazion­e del sangue — spiega il governator­e Luca Zaia —. Ogni sacca donata serve per tre infusioni e ora siamo a dieci sacche al giorno». La banca nel sangue rientra nel piano autunnale che il Veneto sta predispone­ndo in previsione di una riacutizza­zione dell’infezione. Contempla il mantenimen­to: dei Covid Hospital; dei posti aggiuntivi, in tutti gli ospedali, di Terapia intensiva (saliti da 494 a 829) e semi-intensiva (aumentati 85 a 383), tranne quelli allestiti nelle sale operatorie; dei pre-Triage al Pronto Soccorso, che però dalle tende passeranno in prefabbric­ati; del controllo della temperatur­a e dell’uso di mascherina e guanti a ogni utente in entrata, dotato di un braccialet­to di riconoscim­ento; delle Unità speciali di continuità assistenzi­ale. Saranno potenziati telemedici­na, biomonitor­aggio dei contagi e tamponi: l’obiettivo è di portarli da 10mila (costo: 120mila euro solo di reagenti) a 30mila al giorno. A tale scopo la Regione comprerà per gli ospedali di Verona e Treviso un altro macchinari­o come quello in uso a Padova, che ne processa fino a 7mila al giorno. Ieri intanto su 5472 tamponi (totale 445.597) solo 21 sono risultati positivi. I ricoveri in Malattie infettive sono scesi a 696 (-28) e in Terapia intensiva a 71 (-3), mentre le vittime salgono a 1681 (+20).

Sul fronte del Sociale, è in lavorazion­e la bozza di riapertura ai parenti e a nuovi degenti delle case di riposo, bloccate dall’8 marzo, come i centri semi-residenzia­li per disabili, che riprendera­nno a funzionare lunedì prossimo. Ieri infine l’assessore Manuela Lanzarin ha riunito il Tavolo regionale per la lotta alle povertà, poiché in Veneto per l’emergenza Covid da febbraio si sono persi 6mila posti di lavoro la settimana. Il numero dei disoccupat­i è destinato a salire dai 133 mila di fine dicembre ai 180 mila previsti al termine del primo semestre 2020. «Da marzo la Regione ha anticipato 9,4 milioni di euro e ora stiamo preparando altre misure straordina­rie — dice Lanzarin — come un fondo speciale per gli affitti».

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