Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Da Samar a Rafi «Seguo i pazienti di mia madre»
Il figlio della dottoressa Sinjab, morta per coronavirus, prenderà il suo posto nello stesso ambulatorio di Mira: «Con i suoi insegnamenti»
Rafi El Mazloum «eredita» i pazienti di sua madre, Samar Sinjab, medico di famiglia vinta dal virus.
MIRA (VENEZIA)«Un paziente non è un cliente. La malattia non conosce orario di lavoro, non conosce ferie. Ecco perché mia madre la sera del ricovero, avvenuto sabato 7 marzo, con già evidenti difficoltà a respirare, continuò a rispondere al telefono». Quando il 9 aprile la dottoressa Samar Sinjab, 62 anni, morì di coronavirus all’ospedale di Treviso, lasciò nel dolore tutta Mira e nello sconforto i suoi 1.600 pazienti. Non se ne trovano molti di medici di famiglia tanto disponibili da mettere gli ammalati prima di tutto, tanto da non chiudere mai l’ambulatorio neanche in caso di matrimoni e funerali. Un vuoto incolmabile, come si suol dire. E invece è apparso immediatamente colmabile ai cittadini perché spesso a dare una mano c’era il figlio Rafi El Mazloum, 35 anni, medico legale e dottore di ricerca che i pazienti li conosce uno ad uno e della madre Samar ha la stessa tempra.
I miresi avevano raccolto un migliaio di firme perché fosse lui a prendere il testimone. L’Usl 3 invece ha seguito le procedure di legge, bandito una selezione e da lunedì il dottor El Mazloum è ufficialmente in carica per un anno come medico di medicina generale.
Dottor El Mazloum, a Mira l’hanno festeggiata?
«La città è molto legata alla mia famiglia. Siamo tutti medici e abbiamo sempre esercitato qui. Mio padre Omar è stato il primo pediatra arrivato a Mira. I pazienti sono stati felicissimi dell’incarico che mi è stato conferito, basta vedere i messaggi che mi hanno scritto su Facebook. Una manifestazione di affetto incredibile. Credo che alla cuni, stiano ancora firmando la petizione (sorride ndr) Io ricevo su appuntamento per motivi di sicurezza sanitaria e tantissimi vengono anche solo per salutare».
Lei non voleva fare il medico di famiglia, cosa le ha fatto cambiare idea?
«Del passaggio del testimone ne avevo discusso con mamma questo inverno. Tra non molto andrò in pensione, mi diceva, e i miei pazienti cosa faranno? Le rispondevo che sono medico legale, che ho un’altra carriera. Ma in definitiva io conosco uno ad uno, li ho seguiti in passato e durante la malattia di mia madre. Quello che è cambiato è che da lunedì ho scritto la prima ricetta senza il timbro con il nome di mia madre».
E come supera il dolore?
«Senza di lei, l’ambulatorio è vuoto. In una stanza riceveva mio padre, che è morto nel 2007. Era diventata poi lo studio di mia madre, dove campeggia gigantografia di papà che le regalarono i pazienti quando lui morì. Ora è buio e vuoto. Tutto me la ricorda e più di tutto mi manca il suo sorriso. Ma ovviamente il mio lavoro è curare i pazienti e su quello sono focalizzati i miei pensieri».
L’Usl 3, comunicando l’esito della selezione, informa che si era classificato primo un dottore che poi si è ritirato. Lo conosce? Sa per quale motivo abbia rinunciato?
«No, affatto. Ho partecipato al concorso senza seguirne troppo l’esito. Mi sono affidato al destino dicendomi: quel che sarà, sarà. So di avere un curriculum importante, con plurime pubblicazioni, dottorato di ricerca, esperienza come consulente tecnico in tribunale e di aver sempre esercitato accanto a mia madre».
L’incarico dura un anno. La sua è una scelta di vita o una parentesi?
«La medicina legale è il mio futuro. Ciò non toglie che le due cose possano coesistere. L’assistenza primaria è una cosa che ho sempre fatto».
Tutti stakanovisti in famiglia?
«Tutti medici, mia sorella Dania è pediatra. E ci piace quello che facciamo, lavorare non è un peso. L’altra sera guardavo un film, alle dieci mi ha chiamato un paziente e ho risposto. Un paziente non un cliente e la malattia non conosce ferie né orario. Anche mia madre ha risposto all’ultimo paziente prima di essere intubata. Come voleva lei, l’ambulatorio non è mai stato chiuso: è morta giovedì mattina e il pomeriggio ero qui, anche dopo il funerale ho aperto ai pazienti. Lei venne a lavorare dopo il matrimonio di Dania, quando si era rotta il piede a causa di una buca. E ha lavorato all’ultimo».
Non ha mai avuto il dubbio che con un ricovero più tempestivo o cure diverse, sarebbe andata diversamente?
«Lei era preoccupata per il Covid ma non si è mai tirata indietro. Venerdì non stava bene e io le dissi: stai tranquilla, qui in ambulatorio gestisco io. E a sera a casa cominciò ad avere difficoltà a respirare. Siamo medici e all’ospedale di Treviso conosco molti colleghi, con cui sono stato sempre in contatto durante il ricovero. A mia madre è stato dato il massimo».
Senza di lei lo studio è buio e vuoto, mi manca soprattutto il suo sorriso ma sono concentrato sulla cura dei pazienti
Sono venuto in studio dopo il funerale di mia madre, lei venne a lavorare dopo il matrimonio di mia sorella