Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La moglie ribelle incastra i banditi
Oltre cento i furti in casa e ai danni di anziani messi a segno dalla famiglia di ladri
VENEZIA Sgominata una banda responsabile di oltre cento furti tra il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna: otto gli arresti e 15 le perquisizioni, anche a indagati minorenni. Il blitz, coordinato dalla procura di Venezia, è scattato all’alba al termine di una lunga indagine condotta dai carabinieri che ha portato ad accertare colpi con un bottino complessivo di oltre mezzo milione di euro. L’inchiesta è partita dalla denuncia della moglie di un indagato.
VENEZIA La preda preferita, i portafogli degli anziani, che troppo spesso assieme al bancomat nascondono anche un post-it con tutti i codici. Il terreno di caccia migliore, i parcheggi dei cimiteri, ma anche dei supermercati, dei ristoranti, persino delle chiese. E, quando se ne presentava la possibilità, non si rinunciava neppure a borseggi, furti in casa o contro i furgoni delle ditte edili, rimediando televisori, computer portatili, telefonini e tablet, macchine fotografiche e obbiettivi, attrezzi da lavoro e biciclette.
Ieri mattina, con un blitz all’alba, i carabinieri hanno smantellato una fitta rete criminale che dalla comunità sinti di Cavarzere, nel Veneziano, si estendeva verso Verona e Rovigo, fino a toccare anche Mantova e Ferrara, in un cerchio che si chiudeva solo in Marocco, dove tutta la merce rubata veniva fatta arrivare e quindi rivenduta. Otto gli arrestati e altri 15 gli indagati, quasi tutti riconducibili alla famiglia Hodorovich - Fulle: i capifamiglia Bruna (Hodorovich) e Diego (Fulle), i figli Patrick (Hodorovich) e Gesovel (Fulle), la compagna di quest’ultidettaglio mo, Saina Levacovic, e suo fratello Emanuel, la complice Sara De Bianchi; c’è anche un minorenne, arrestato a Verona. In totale i militari stimano almeno un centinaio di «colpi» costati in tutto, tra refurtiva e danni, almeno mezzo milione di euro. Solo il materiale recuperato dagli uomini dell’Arma supera i 100 mila euro, ed è appena una minima parte.
A raccontare nei dettagli i metodi dei furti, le gerarchie del gruppo, i contatti con i ricettatori marocchini ci ha pensato la moglie del «delfino» della famiglia, fuggita da insulti, minacce e violenze: anche lei di origine sinti, appartenente a una famiglia di giostrai, si era sempre rifiutata di partecipare alle attività del marito e dei suoceri, finendo così per attirarsi l’ostilità di tutti; quando la situazione si è fatta insostenibile, la giovane è scappata, ha chiesto aiuto alle autorità e, oltre a raccontare la sua sofferenza, ha anche ricostruito le trame criminali del gruppo. Gli uomini dell’Arma hanno lavorato quasi due anni, tra appostamenti, intercettazioni e pedinamenti, per confermare tutte le storie. Il punto di svolta è stata l’individuazione dell’intermediario per il Marocco, Hicham Benaicha, classe 1975: conosciuto dagli Hodorovich semplicemente come «Issam», era lui che facendo spola tra le varie comunità collegate - a Cavarzere e a Mestre, nel Veneziano, ma anche a Rovigo e nel campo di Verona - raccoglieva la merce rubata, la stipava in casa sua o in vari magazzini, poi la faceva arrivare in nordafrica infilandola in borsoni anonimi che affidava a trasportatori regolari; soprattutto, Benaicha parlava al telefono in arabo, che ha reso le sue intercettazioni molto più semplici da tradurre rispetto a quelle in dialetto sinti, per cui sono disponibili sempre pochissimi interpreti.
Anche dai telefonini degli Hodorovich, comunque, è stato raccolto materiale utile all’indagine: il codice che identifica come «gaggi» tutte le vittime, gli ordini trafelati di «svuotare in fretta un bancomat, prima che lo blocchino», i complimenti della matriarca per chi aveva «preso qualsiasi cosa», le indicazioni di quali carte rubate fossero sicure, da usare «tutta la vita», gli avvisi reciproci di non avvicinarsi a quel ristorante in cui era già stato «fatto danno», i rimproveri per chi ha sbagliato il luogo del prelievo («se andavi nella sua banca, dava fino a 1.500 euro»). Nell’elenco degli episodi contestati c’è davvero di tutto: borse svuotate in cimitero, carte di credito svuotate in pochi minuti, persino il furto di computer, attrezzature e camice ad un giovane studente di medicina. La giovane che si è ribellata alla vita criminale ha raccontato anche di aver assistito al passaggio di un’arma da fuoco, una pistola, che però non è stata ancora trovata dai carabinieri. Anche così, il lungo elenco di reati confermati da telecamere, registrazioni, denunce e materiale rubato ha permesso al pubblico ministero Giorgio Gava di contestare a tutti l’associazione a delinquere: «Un dettaglio fondamentale per la battaglia in tribunale, ma che raramente riusciamo a dimostrare in questa fase», ha rimarcato il tenente colonnello Emanuele Spiller, del reparto operativo dei carabinieri di Venezia.
In carcere sono finiti Benaicha, i capifamiglia Hodorovich-Fulle e i due figli (difesi dall’avvocato Taschin) e Emanuel Levacovic (avvocato Pattarello); De Bianchi e Saina Levacovic, invece, sono ai domiciliari, in attesa di ricevere anche una cavigliera elettronica. Da domani gli interrogatori, ma già ieri, davanti alla caserma dei carabinieri di Mestre, rumoreggiava un piccolo capannello di parenti e amici degli arrestati.