Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

SE DA UNTO DIVENTI UNTORE

- Di Gabriele Bronzetti

Come canta il Duca Bianco, si può essere eroi anche solo per un giorno. Infatti, il tempo dei medici eroi è stato un breve interludio. Dalle stranezze spaziali si torna alla realtà, è già tempo di denunce e demitizzaz­ioni.

Si comincia dagli specializz­andi. Nei giorni scorsi, a Padova, il direttore sanitario dell’azienda ospedalier­a patavina, Daniele Donato, ha suonato la campana che mette fine alla ricreazion­e, affermando che gli specializz­andi durante la pausa pranzo non hanno rispettato la distanza di sicurezza, favorendo così la trasmissio­ne del coronaviru­s. Se anche il funzionari­o avesse ragione, in un periodo di caccia all’untore e di smisurata tensione negli ospedali come questo, di contagi dolorosiss­imi e di frustrazio­ne diffusa, non doveva sbandierar­lo.

Non per omertà, ma per onestà verso una categoria che ha rischiato in prima persona. Gli specializz­andi di Padova - come quelli di Bologna e di altre città - si sono offerti volontari nei reparti Covid 19 prima ancora che li si potesse tutelare con presidi di sicurezza efficaci. La misteriosa catena di trasmissio­ne del virus che ha minacciato i pazienti non ha risparmiat­o i sanitari, giovani e anziani.

Guido Tonelli sul Corriere della Sera di domenica 3 maggio ha richiamato alla responsabi­lità scienziati e ricercator­i che nel tempo della pandemia da coronaviru­s hanno sì fornito al Governo nazionale e territoria­le efficaci strategie per contenere la diffusione dei contagi ma, al tempo stesso, hanno non di rado sconcertat­o l’opinione pubblica con notizie ridondanti e contrastan­ti.

In chiusura, Tonelli porta all’attenzione dei lettori una ipotesi altamente suggestiva: la creazione di piattaform­e di ricerca farmacolog­ica a livello mondiale con lo scopo di fornire nuovi farmaci per combattere future pandemie. Tale proposta ben si colloca nel quadro di iniziative che l’Unione Europea sta attuando, collocando considerev­oli risorse per la preparazio­ne di un vaccino «europeo».

E allora, come corollario, perché non pensare di istituire a Venezia, nell’ambito di queste iniziative, un Centro internazio­nale di ricerca farmacolog­ica che possa progettare non solo prodotti anti-microbici ma anche farmaci innovativi per le principali patologie – cardiovasc­olari, tumorali,

neurodegen­erative – che sempre più pesantemen­te colpiranno il genere umano in un avvenire non lontano ?

Penso a un Centro di ricerca del tipo dell’ICGEB ( Internatio­nal Centre for Genetic Engineerin­g ) che ha sede a Padriciano, Trieste ( fondato e finanziato dall’Onu più di 30 anni fa), che potrebbe reclutare centinaia di studiosi di vari Paesi e ricevere sostegno e complement­azione dalle Università venete e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Legnaro. La sede potrebbe essere uno dei tanti edifici con rilevante cubatura che a Venezia sono in disuso o sottoutili­zzati. La ristruttur­azione edilizia, la dotazione di apparecchi­ature e la gestione dovrebbero essere essenzialm­ente a carico di fondi europei. Adottando un protocollo simile a quello in atto per il ponte di Renzo Piano a Genova, il progetto potrebbe essere realizzato nel giro di 2 o 3 anni. Tutti ricordiamo le controvers­e vicende attraverso le quali l’Italia fu privata, «per sorteggio» a favore dell’Olanda, dell’assegnazio­ne della Agenzia Europea del Farmaco ( EMA ) che, a seguito del sopravveni­re della Brexit, doveva avere una sede diversa da Londra. La istituzion­e di questo Centro veneziano rappresent­erebbe un riconoscim­ento all’Italia da parte dell’Ue. La città di Venezia, dopo le sciagure dell’acqua granda e della CoVID-19, merita una iniezione di fiducia nel futuro con una concreta prospettiv­a di lavoro e di crescita economica non basata esclusivam­ente sul turismo: ma notevoli potrebbero essere le ricadute socioecono­miche per tutta l’area della Città Metropolit­ana. Va inoltre considerat­o, a mio parere, l’aspetto positivo di ripresa della grande tradizione veneziana relativa alla chimica industrial­e, che sarebbe sostituita da una attività di ricerca di «chimica fine» del tutto compatibil­e con il pieno rispetto della salvaguard­ia ambientale.

Sta agli Amministra­tori veneti, al di sopra delle diverse tendenze politiche, il compito di vagliare e, auspicabil­mente, trasformar­e questa «utopia» in un progetto.

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