Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
SE DA UNTO DIVENTI UNTORE
Come canta il Duca Bianco, si può essere eroi anche solo per un giorno. Infatti, il tempo dei medici eroi è stato un breve interludio. Dalle stranezze spaziali si torna alla realtà, è già tempo di denunce e demitizzazioni.
Si comincia dagli specializzandi. Nei giorni scorsi, a Padova, il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera patavina, Daniele Donato, ha suonato la campana che mette fine alla ricreazione, affermando che gli specializzandi durante la pausa pranzo non hanno rispettato la distanza di sicurezza, favorendo così la trasmissione del coronavirus. Se anche il funzionario avesse ragione, in un periodo di caccia all’untore e di smisurata tensione negli ospedali come questo, di contagi dolorosissimi e di frustrazione diffusa, non doveva sbandierarlo.
Non per omertà, ma per onestà verso una categoria che ha rischiato in prima persona. Gli specializzandi di Padova - come quelli di Bologna e di altre città - si sono offerti volontari nei reparti Covid 19 prima ancora che li si potesse tutelare con presidi di sicurezza efficaci. La misteriosa catena di trasmissione del virus che ha minacciato i pazienti non ha risparmiato i sanitari, giovani e anziani.
Guido Tonelli sul Corriere della Sera di domenica 3 maggio ha richiamato alla responsabilità scienziati e ricercatori che nel tempo della pandemia da coronavirus hanno sì fornito al Governo nazionale e territoriale efficaci strategie per contenere la diffusione dei contagi ma, al tempo stesso, hanno non di rado sconcertato l’opinione pubblica con notizie ridondanti e contrastanti.
In chiusura, Tonelli porta all’attenzione dei lettori una ipotesi altamente suggestiva: la creazione di piattaforme di ricerca farmacologica a livello mondiale con lo scopo di fornire nuovi farmaci per combattere future pandemie. Tale proposta ben si colloca nel quadro di iniziative che l’Unione Europea sta attuando, collocando considerevoli risorse per la preparazione di un vaccino «europeo».
E allora, come corollario, perché non pensare di istituire a Venezia, nell’ambito di queste iniziative, un Centro internazionale di ricerca farmacologica che possa progettare non solo prodotti anti-microbici ma anche farmaci innovativi per le principali patologie – cardiovascolari, tumorali,
neurodegenerative – che sempre più pesantemente colpiranno il genere umano in un avvenire non lontano ?
Penso a un Centro di ricerca del tipo dell’ICGEB ( International Centre for Genetic Engineering ) che ha sede a Padriciano, Trieste ( fondato e finanziato dall’Onu più di 30 anni fa), che potrebbe reclutare centinaia di studiosi di vari Paesi e ricevere sostegno e complementazione dalle Università venete e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Legnaro. La sede potrebbe essere uno dei tanti edifici con rilevante cubatura che a Venezia sono in disuso o sottoutilizzati. La ristrutturazione edilizia, la dotazione di apparecchiature e la gestione dovrebbero essere essenzialmente a carico di fondi europei. Adottando un protocollo simile a quello in atto per il ponte di Renzo Piano a Genova, il progetto potrebbe essere realizzato nel giro di 2 o 3 anni. Tutti ricordiamo le controverse vicende attraverso le quali l’Italia fu privata, «per sorteggio» a favore dell’Olanda, dell’assegnazione della Agenzia Europea del Farmaco ( EMA ) che, a seguito del sopravvenire della Brexit, doveva avere una sede diversa da Londra. La istituzione di questo Centro veneziano rappresenterebbe un riconoscimento all’Italia da parte dell’Ue. La città di Venezia, dopo le sciagure dell’acqua granda e della CoVID-19, merita una iniezione di fiducia nel futuro con una concreta prospettiva di lavoro e di crescita economica non basata esclusivamente sul turismo: ma notevoli potrebbero essere le ricadute socioeconomiche per tutta l’area della Città Metropolitana. Va inoltre considerato, a mio parere, l’aspetto positivo di ripresa della grande tradizione veneziana relativa alla chimica industriale, che sarebbe sostituita da una attività di ricerca di «chimica fine» del tutto compatibile con il pieno rispetto della salvaguardia ambientale.
Sta agli Amministratori veneti, al di sopra delle diverse tendenze politiche, il compito di vagliare e, auspicabilmente, trasformare questa «utopia» in un progetto.