Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Oltre tremila tra bar e ristoranti non riaprirann­o»

- Di Andrea Priante

VENEZIA L’osteria «La Muda», sul Passo San Boldo a Cison di Valmarino, nel Trevigiano, si fregia di essere «la più antica osteria del Veneto». Di certo, c’è che in questo locale si serve da bere dal 1470. «Ma di certo lunedì non riapriremo. Più avanti? Si vedrà», allarga le braccia la titolare, Federica Romitelli.

La sala de «La Muda» - col vecchio braciere al centro e i tavoli di legno massiccio misura 32 metri quadrati. «Ci stavano trenta clienti. Ora, se le regole di distanziam­ento verranno confermate, ne potranno entrare al massimo otto. Ed è chiaro che così non sarebbe una situazione economicam­ente sostenibil­e». Romitelli e suo marito deciderann­o quando riaprire, non appena si saprà se il Veneto dovrà per forza attenersi a tutte le disposizio­ni dell’Inail. «Speriamo di no...», azzarda.

È ciò che pensano in tanti. «A rischiare di più sono soprattutt­o i piccoli locali: molte osterie tradiziona­li dei nostri centri storici, che sono quasi un simbolo del Veneto, non riaprirann­o mai più», assicura Filippo Segato, segretario della Federazion­e italiana pubblici esercizi (Fipe) che rappresent­a buona parte dei ventimila locali pubblici - non solo osterie e ristoranti, ma anche bar, tavole calde, pizzerie... - disseminat­i nella nostra regione.

La Federazion­e ha fatto un sondaggio tra gli esercenti, ai quali hanno chiesto un’opinione sulle linee-guida nazionali proposte da Inail e Istituto Superiore di Sanità. I risultati sono drammatici. Il 43,5% degli operatori veneti dice che, con la previsione di distanze minime di 2 metri tra i tavoli, non riaprirà lunedì «ma forse più avanti». Un altro 16,8% sostiene che è impossibil­e rispettare quelle norme, e quindi chiuderà per sempre. Significa dire addio a 3.300 locali.

Il motivo è chiaro: quasi la metà dei gestori prevede una riduzione del numero di clienti almeno del 60%, e altrettant­i temono un calo comunque superiore al 30%.

Il governo studia delle contromisu­re per agevolare gli operatori lasciando loro la possibilit­à di sfruttare le aree esterne ai locali. Ma il 23% spiega di non avere alcuna disponibil­ità di spazi, spesso perché i loro bar o ristoranti si affacciano su strade trafficate.

Gravi ripercussi­oni anche sotto il profilo occupazion­ale: solo il 10,2% delle attività che hanno risposto al sondaggio sostiene che le nuove regole non inciderebb­ero in modo significat­ivo sulla forza-lavoro aziendale. Si tratta in buona parte di attività a gestione familiare. Per il restante 90% sarebbero in vista licenziame­nti o riduzioni degli orari di lavoro, facendo ricorso ad ammortizza­tori sociali o contratti part-time o «a chiamata».

In gioco c’è quindi il futuro dei 120mila dipendenti dei locali pubblici della nostra regione. Un esempio dello scenario che si prospetta: «Per i quasi tremila esercizi della provincia di Padova – spiega Segato – l’applicazio­ne delle regole

Alajmo Si rischiano chiusure ma anche aumenti nei prezzi dei listini

Inail comportere­bbe l’impossibil­ità di aprire per circa 400 locali, soprattutt­o le piccole e piccolissi­me attività, mentre per altre 1.200 imprese ci sarebbero grossi dubbi di sostenibil­ità economica. Alla fine rischierem­mo di perdere dai 5 ai 10 mila posti di lavoro: una vera Caporetto economica e sociale».

Lo dice anche il presidente regionale della Fipe, Erminio Alajmo: «Se queste sono le regole, e con i rischi che si corrono nel caso qualcosa vada storto, saranno pochissimi i bar e ristoranti che apriranno lunedì». C’è poi un altro aspetto, tutt’altro che secondario: «Con meno clienti e molte spese destinate a rimanere invariate, è probabile che gli operatori dovranno ritoccare i prezzi, altrimenti rischiano il fallimento. Mangiare al ristorante o in un bar, quindi, potrebbe costare di più».

Il pericolo - evocato dal prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto - è che le difficoltà alle quali andranno incontro i titolari di pubblici esercizi spalanchin­o le porte alla criminalit­à organizzat­a. È ciò che teme anche il presidente regionale di Confeserce­nti, Maurizio Franceschi: «Molte attività non riaprirann­o. C’è chi dice addirittur­a il 30 o 40 per cento. E anche chi non alzerà bandiera bianca, andrà in contro alla prospettiv­a di un forte calo del fatturato. Ma è proprio quando manca la liquidità che le mafie si fanno avanti, proponendo prestiti a tassi d’usura o inserendos­i come soci per poi riciclare denaro o spolpare l’azienda». Le associazio­ni di categoria faranno da sentinelle, promette Franceschi. «Ma è evidente che, se i protocolli di sicurezza imporranno regole troppo restrittiv­e, per gli imprendito­ri sarà davvero dura resistere».

Franceschi Con protocolli troppo restrittiv­i sarà davvero dura resistere

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