Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Oltre tremila tra bar e ristoranti non riapriranno»
VENEZIA L’osteria «La Muda», sul Passo San Boldo a Cison di Valmarino, nel Trevigiano, si fregia di essere «la più antica osteria del Veneto». Di certo, c’è che in questo locale si serve da bere dal 1470. «Ma di certo lunedì non riapriremo. Più avanti? Si vedrà», allarga le braccia la titolare, Federica Romitelli.
La sala de «La Muda» - col vecchio braciere al centro e i tavoli di legno massiccio misura 32 metri quadrati. «Ci stavano trenta clienti. Ora, se le regole di distanziamento verranno confermate, ne potranno entrare al massimo otto. Ed è chiaro che così non sarebbe una situazione economicamente sostenibile». Romitelli e suo marito decideranno quando riaprire, non appena si saprà se il Veneto dovrà per forza attenersi a tutte le disposizioni dell’Inail. «Speriamo di no...», azzarda.
È ciò che pensano in tanti. «A rischiare di più sono soprattutto i piccoli locali: molte osterie tradizionali dei nostri centri storici, che sono quasi un simbolo del Veneto, non riapriranno mai più», assicura Filippo Segato, segretario della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) che rappresenta buona parte dei ventimila locali pubblici - non solo osterie e ristoranti, ma anche bar, tavole calde, pizzerie... - disseminati nella nostra regione.
La Federazione ha fatto un sondaggio tra gli esercenti, ai quali hanno chiesto un’opinione sulle linee-guida nazionali proposte da Inail e Istituto Superiore di Sanità. I risultati sono drammatici. Il 43,5% degli operatori veneti dice che, con la previsione di distanze minime di 2 metri tra i tavoli, non riaprirà lunedì «ma forse più avanti». Un altro 16,8% sostiene che è impossibile rispettare quelle norme, e quindi chiuderà per sempre. Significa dire addio a 3.300 locali.
Il motivo è chiaro: quasi la metà dei gestori prevede una riduzione del numero di clienti almeno del 60%, e altrettanti temono un calo comunque superiore al 30%.
Il governo studia delle contromisure per agevolare gli operatori lasciando loro la possibilità di sfruttare le aree esterne ai locali. Ma il 23% spiega di non avere alcuna disponibilità di spazi, spesso perché i loro bar o ristoranti si affacciano su strade trafficate.
Gravi ripercussioni anche sotto il profilo occupazionale: solo il 10,2% delle attività che hanno risposto al sondaggio sostiene che le nuove regole non inciderebbero in modo significativo sulla forza-lavoro aziendale. Si tratta in buona parte di attività a gestione familiare. Per il restante 90% sarebbero in vista licenziamenti o riduzioni degli orari di lavoro, facendo ricorso ad ammortizzatori sociali o contratti part-time o «a chiamata».
In gioco c’è quindi il futuro dei 120mila dipendenti dei locali pubblici della nostra regione. Un esempio dello scenario che si prospetta: «Per i quasi tremila esercizi della provincia di Padova – spiega Segato – l’applicazione delle regole
Alajmo Si rischiano chiusure ma anche aumenti nei prezzi dei listini
Inail comporterebbe l’impossibilità di aprire per circa 400 locali, soprattutto le piccole e piccolissime attività, mentre per altre 1.200 imprese ci sarebbero grossi dubbi di sostenibilità economica. Alla fine rischieremmo di perdere dai 5 ai 10 mila posti di lavoro: una vera Caporetto economica e sociale».
Lo dice anche il presidente regionale della Fipe, Erminio Alajmo: «Se queste sono le regole, e con i rischi che si corrono nel caso qualcosa vada storto, saranno pochissimi i bar e ristoranti che apriranno lunedì». C’è poi un altro aspetto, tutt’altro che secondario: «Con meno clienti e molte spese destinate a rimanere invariate, è probabile che gli operatori dovranno ritoccare i prezzi, altrimenti rischiano il fallimento. Mangiare al ristorante o in un bar, quindi, potrebbe costare di più».
Il pericolo - evocato dal prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto - è che le difficoltà alle quali andranno incontro i titolari di pubblici esercizi spalanchino le porte alla criminalità organizzata. È ciò che teme anche il presidente regionale di Confesercenti, Maurizio Franceschi: «Molte attività non riapriranno. C’è chi dice addirittura il 30 o 40 per cento. E anche chi non alzerà bandiera bianca, andrà in contro alla prospettiva di un forte calo del fatturato. Ma è proprio quando manca la liquidità che le mafie si fanno avanti, proponendo prestiti a tassi d’usura o inserendosi come soci per poi riciclare denaro o spolpare l’azienda». Le associazioni di categoria faranno da sentinelle, promette Franceschi. «Ma è evidente che, se i protocolli di sicurezza imporranno regole troppo restrittive, per gli imprenditori sarà davvero dura resistere».
Franceschi Con protocolli troppo restrittivi sarà davvero dura resistere