Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I NUOVI RITI DELLE ASSEMBLEE

- di Giovanni Costa

Uno degli effetti collateral­i delle misure anti Covid-19 è la soppressio­ne dei rituali delle assemblee delle società per l’approvazio­ne dei bilanci 2019.

La normativa d’emergenza volta a evitare assembrame­nti impone che tali assemblee si svolgano a porte chiuse.

L’intervento degli azionisti è possibile solo mediante delega a un unico «Rappresent­ante Designato». È loro preclusa la partecipaz­ione sia fisica sia virtuale.

Il Rappresent­ante Designato è quindi l’unica voce legittimat­a a intervenir­e e normalment­e in apertura dichiara di attenersi alle istruzioni di voto ricevute, cristalliz­zando così le posizioni espresse dagli azionisti al momento del conferimen­to delle deleghe. Il che toglie un ruolo alla discussion­e assemblear­e che infatti, come si legge nelle cronache assemblear­i, non ha luogo.

In questo modo si toglie il palcosceni­co a quei personaggi un po’ pittoresch­i che interveniv­ano nelle assemblee, a volte ponendo domande scomode agli amministra­tori, altre volte cercando solo una visibilità personale.

Viene meno anche l’audience per i così detti «fondi attivisti» che, quando non hanno fini speculativ­i, si propongono di rendere più trasparent­e la governance e di stimolare strategie più efficaci.

Il progressiv­o svuotament­o dei momenti di partecipaz­ione e di decisione collettiva è un fenomeno che viene da lontano e riguarda anche altre realtà. Le misure di distanziam­ento sociale lo hanno reso più evidente.

Credo nessuno abbia nostalgia delle oceaniche assemblee delle Banche Popolari, quelle venete, per esempio. La legge e le autorità di controllo cercano di rinforzare la tutela delle minoranze nei riguardi delle maggioranz­e e soprattutt­o del management. L’obiettivo è rimontare le asimmetrie di informazio­ni, competenze e potere imponendo maggiore trasparenz­a e condivisio­ne sulle tematiche non solo finanziari­e e sulle retribuzio­ni del top management.

Queste asimmetrie erano chiarissim­e a chi un tempo teorizzò che le azioni non si contano ma si pesano, aprendo così la strada alla normativa sulle azioni a voto plurimo o maggiorato che concretizz­ano appunto la «ponderazio­ne». Si noti per inciso che la nostra legislazio­ne sul tema non è allineata a quella di alcuni Paesi competitor­i che, per questa ragione, più che per motivi fiscali, invogliano certe società a stabilirvi la loro sede.

Da diritto astratto e formale di intervenir­e nelle decisioni strategich­e, la proprietà azionaria si trasforma in capacità sostanzial­e, economicam­ente rilevante, solo attraverso concentraz­ioni di potere. Il gruppo di controllo deve poi confrontar­si con il management che opera direttamen­te sugli asset societari e presidia i processi aziendali di cui ha il possesso.

Poiché proprietà giuridica, proprietà economica e possesso sono i tre piani di azione della governance, che tipo di democrazia è effettivam­ente esercitabi­le nell’assemblea degli azionisti?

L’alternativ­a tra una democrazia referendar­ia (sì o no) e una deliberati­va (si parla, si ascolta e si decide) rischia di essere un po’ astratta. Si sono ormai affermati i «proxy advisor», profession­isti che assistono gli investitor­i istituzion­ali nell’esercizio dei loro poteri in assemblea cercando anche d’influenzar­e gli amministra­tori tra un’assemblea e l’altra. La voce di questi advisor è ascoltata con attenzione dai vertici societari che così hanno il polso della situazione e cercano di evitarsi sorprese in assemblea e in Borsa.

È ormai chiaro che l’interazion­e tra amministra­tori e azionisti si sviluppa fuori dell’assemblea il cui depotenzia­mento è iniziato ben prima della normativa di emergenza, alla quale sopravvive­rà. Questo spiega perché queste strane assemblee senza azionisti con un rappresent­ante unico che vota per tutti si svolgano senza particolar­i reazioni.

Fenomeni analoghi potrebbero investire nel post pandemia altri riti collettivi.

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