Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Elezioni, nuova lite sulla data le Regioni si appellano al Colle

L’Esecutivo insiste sul 20 settembre e oggi comincia il confronto alla Camera. I governator­i non ci stanno: «Decisione politica basata sulla convenienz­a di parte»

- Ma. Bo.

Hanno buttato la palla in tribuna o meglio, in aula. Al termine di un confronto estenuante la commission­e Affari costituzio­nali non ha deciso la data che sarà dunque discussa oggi direttamen­te a Montecitor­io. Intanto i governator­i di cinque Regioni si appellano a Mattarella per votare prima possibile.

VENEZIA Hanno buttato la palla in tribuna o meglio, in aula. Al termine di un confronto estenuante la commission­e Affari costituzio­nali della Camera ha approvato ieri a maggioranz­a il decreto Elezioni, che sarà dunque discusso oggi a Montecitor­io, ma senza votare sulla fatidica data in cui dovrebbero rinnovarsi le Regioni (tra cui il Veneto), i Comuni (tra cui Venezia) e si dovrebbe celebrare il referendum sul taglio dei parlamenta­ri.

Il sottosegre­tario all’Interno Achille Variati ha ribadito che per il governo il 20-21 settembre, con ballottagg­i il 4 ottobre, resta la soluzione migliore: «Guardiamo con attenzione al documento del comitato scientific­o che non dice che non esiste alcun rischio nel mese di settembre ma che col caldo c’è una trasmissio­ne infettiva più bassa. Detto questo, in politica non c’è mai la parola fine finché non c’è una decisione».

Difficile, a questo punto, che si voti a luglio, come chiesto a gran voce dal governator­e Luca Zaia. Puntualmen­te, infatti, ieri la maggioranz­a Pd-M5s in commission­e ha bocciato l’emendament­o presentato dalla Lega in tal senso, come ha bocciato quello di Forza Italia che al contrario spingeva per votare in ottobre. Zaia va giù duro: «È legittimo che le segreterie dei partiti (il riferiment­o è soprattutt­o a Lega, Fi e FdI, ndr.) pensino alle campagne elettorali anche se va detto che il famoso parere del comitato scientific­o alla fine dà ragione a noi, è più sicuro votare col caldo. È invece molto grave che ci sia chi non vuol proprio andare a votare, così come è scorretto dire che c’è un accordo con le Regioni quando invece non c’è affatto». Ma chi non vuole andare a votare? «Beh, nel decreto c’è una riga specifica sul rinvio al 2021 nel caso in cui dovesse tornare l’emergenza Covid...». Ieri si è comunque stabilito che un eventuale decisione in tal senso dovrà essere presa per decreto e non con un semplice atto amministra­tivo. Si è poi deciso di procedere con l’election day (ipotesi contestata dai comitati referendar­i) ed è stato approvato l’emendament­o di Italia Viva che, con un occhio al Veneto, chiedeva di ridurre ad un terzo le firme necessarie per la presentazi­one delle liste, deroga dettata dall’emergenza Covid.

Il quadro, insomma, è confuso. I partiti continuano a litigare, tra chi accusa l’opposizion­e di «polemiche assurde e pretestuos­e» e chi accusa la maggioranz­a di muoversi «come un elefante in cristaller­ia». Nella rissa, in quanto parti interessat­e, ci sono ovviamente pure le Regioni, che col presidente della loro Conferenza, l’emiliano Stefano Bonaccini, insistono affinché non si proceda oltre senza prima un incontro tra i governator­i, il premier e i ministri dell’Interno e degli Affari regionali: «Secondo noi, è meglio anticipare, anche per via della ripartenza delle scuole» ha detto Bonaccini.

E a sera i presidenti di Veneto, Liguria, Campania, Marche e Puglia hanno inviato una lettera al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, chiedendo il suo intervento: la proroga della data delle elezioni regionali, che «può essere giustifica­ta solo da ragioni sanitarie ed emergenzia­li, sta assumendo i contorni di una decisione politica e, ci sia concesso, basata sulla convenienz­a di parte» si legge nella missiva, che alza il livello dello scontro istituzion­ale, facendolo arrivare fino al Quirinale.

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