Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

DUE MACIGNI NEL CANTIERE EUROPA

- di Paolo Costa

Da mercoledì la Commission­e europea ha messo in campo la sua strategia di rilancio post coronaviru­s ambiziosam­ente proiettata sulla «prossima generazion­e europea». Un atto degno dell’ intuizione fondativa di Schuman (l’Europa è un progetto vincente se esercita forme di solidariet­à che convincono tutti i suoi stati membri a rinforzarl­a in un circuito virtuoso) perché da mercoledì «nessuno è lasciato solo nel difficile post Covid-19». Un autentico atto di resilienza: dalla dimensione – bilancio europeo portato col nuovo fondo di 750 miliardi a disporre di 1,85 trilioni di euro nei prossimi sette anni -, dall’articolazi­one, dalla visione –rilancio verde, digitale, inclusivo e di rafforzame­nto del mercato interno - e dalla tempestivi­tà capaci di far rimbalzare l’economia e la società europee ben oltre il livello di benessere goduto prima della tragedia umana e sociale provocata dalla pandemia. Se l’acquisizio­ne al progetto dei cosiddetti paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) non costringer­à a compromess­i al ribasso, da settembre 2020, con un provvedime­nto ponte, e poi da gennaio 2021 l’Ue e i suoi Stati membri disporrann­o degli strumenti finanziari e istituzion­ali per costruire l’Europa della prossima generazion­e. continua a pag.

Di fronte a questa felice prospettiv­a l’Italia si presenta con due handicap. Il primo sta nella cronica difficoltà italiana a spendere nei tempi e nei modi previsti i contributi europei a fondo perduto: nel caso del Next Generation Eu, ben 82 dei 172,7 miliardi previsti per l’ Italia. Il secondo macigno sta nella mancanza, non dico di un piano, ma di idee chiare, e condivise, su come queste preziose risorse debbano essere spese. Al come gestire in modo efficace e trasparent­e i fondi europei speriamo venga dedicato il capitolo principale del cosiddetto «decreto semplifica­zioni» che il governo ha in cantiere. Ma per darci un piano efficace, perché capace finalmente di rilanciare produttivi­tà, crescita e occupazion­e in Italia occorre prepararci a dire dei no secchi. Il primo no deve andare all’utilizzo dei fondi di rilancio a fini assistenzi­ali: ci si deve sì occupare con priorità delle aree, generazion­i e ceti più colpiti dal covid-19, ma solo con interventi di rilancio produttivo ed occupazion­ale. Il secondo no riguarda l’uso dei fondi del Next generation per sostenere consumi privati e pubblici in ottica keynesiana: equivarreb­be al riscaldars­i bruciando mobili d’epoca. Lo stesso vale per il sostegno alle esportazio­ni, accettabil­e solo dentro lo «strumento di investimen­to strategico», ricco di 150 miliardi di euro, previsto a favore degli investimen­ti privati. Ma i no più coraggiosi, perché più dolorosi, sono quelli che riguardano gli investimen­ti pubblici (560 miliardi che costituisc­ono il cuore della strategia). Qui le risorse vanno concentrat­e sugli investimen­ti, e solo quelli, più rapidament­e capaci di favorire un aumento della produttivi­tà del sistema. I no più difficili sono quelli da dire alle infrastrut­ture sociali, diverse da scuole e università, e a quelle ambientali, diverse da quelle per la captazione e distribuzi­one dell’acqua e per la difesa del suolo. Ma anche queste devono venir solo dopo le infrastrut­ture economiche: telecomuni­cazioni, energia e trasporti capaci di inserirsi nel il nuovo patto verde europeo e nella rivoluzion­e digitale, i pilastri sui quali si fonda la strategia di sviluppo europeo per la prossima generazion­e. Scelte che purtroppo sono molto lontane da quelle che immaginano il rilancio incentrato su «cantieri da aprire», non importa quali, e «opere da velocizzar­e» per l’attività demiurgica di commissari ad hoc. Abbiamo poco tempo per delineare una strategia vincente. E per convincerc­i che il «rilancio e rimbalzo» non può sfuggire a un vero processo di programmaz­ione: cosa diversa da mediazioni governativ­e pur supportate dalla miglior pletora di comitati scientific­i.

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