Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
DUE MACIGNI NEL CANTIERE EUROPA
Da mercoledì la Commissione europea ha messo in campo la sua strategia di rilancio post coronavirus ambiziosamente proiettata sulla «prossima generazione europea». Un atto degno dell’ intuizione fondativa di Schuman (l’Europa è un progetto vincente se esercita forme di solidarietà che convincono tutti i suoi stati membri a rinforzarla in un circuito virtuoso) perché da mercoledì «nessuno è lasciato solo nel difficile post Covid-19». Un autentico atto di resilienza: dalla dimensione – bilancio europeo portato col nuovo fondo di 750 miliardi a disporre di 1,85 trilioni di euro nei prossimi sette anni -, dall’articolazione, dalla visione –rilancio verde, digitale, inclusivo e di rafforzamento del mercato interno - e dalla tempestività capaci di far rimbalzare l’economia e la società europee ben oltre il livello di benessere goduto prima della tragedia umana e sociale provocata dalla pandemia. Se l’acquisizione al progetto dei cosiddetti paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) non costringerà a compromessi al ribasso, da settembre 2020, con un provvedimento ponte, e poi da gennaio 2021 l’Ue e i suoi Stati membri disporranno degli strumenti finanziari e istituzionali per costruire l’Europa della prossima generazione. continua a pag.
Di fronte a questa felice prospettiva l’Italia si presenta con due handicap. Il primo sta nella cronica difficoltà italiana a spendere nei tempi e nei modi previsti i contributi europei a fondo perduto: nel caso del Next Generation Eu, ben 82 dei 172,7 miliardi previsti per l’ Italia. Il secondo macigno sta nella mancanza, non dico di un piano, ma di idee chiare, e condivise, su come queste preziose risorse debbano essere spese. Al come gestire in modo efficace e trasparente i fondi europei speriamo venga dedicato il capitolo principale del cosiddetto «decreto semplificazioni» che il governo ha in cantiere. Ma per darci un piano efficace, perché capace finalmente di rilanciare produttività, crescita e occupazione in Italia occorre prepararci a dire dei no secchi. Il primo no deve andare all’utilizzo dei fondi di rilancio a fini assistenziali: ci si deve sì occupare con priorità delle aree, generazioni e ceti più colpiti dal covid-19, ma solo con interventi di rilancio produttivo ed occupazionale. Il secondo no riguarda l’uso dei fondi del Next generation per sostenere consumi privati e pubblici in ottica keynesiana: equivarrebbe al riscaldarsi bruciando mobili d’epoca. Lo stesso vale per il sostegno alle esportazioni, accettabile solo dentro lo «strumento di investimento strategico», ricco di 150 miliardi di euro, previsto a favore degli investimenti privati. Ma i no più coraggiosi, perché più dolorosi, sono quelli che riguardano gli investimenti pubblici (560 miliardi che costituiscono il cuore della strategia). Qui le risorse vanno concentrate sugli investimenti, e solo quelli, più rapidamente capaci di favorire un aumento della produttività del sistema. I no più difficili sono quelli da dire alle infrastrutture sociali, diverse da scuole e università, e a quelle ambientali, diverse da quelle per la captazione e distribuzione dell’acqua e per la difesa del suolo. Ma anche queste devono venir solo dopo le infrastrutture economiche: telecomunicazioni, energia e trasporti capaci di inserirsi nel il nuovo patto verde europeo e nella rivoluzione digitale, i pilastri sui quali si fonda la strategia di sviluppo europeo per la prossima generazione. Scelte che purtroppo sono molto lontane da quelle che immaginano il rilancio incentrato su «cantieri da aprire», non importa quali, e «opere da velocizzare» per l’attività demiurgica di commissari ad hoc. Abbiamo poco tempo per delineare una strategia vincente. E per convincerci che il «rilancio e rimbalzo» non può sfuggire a un vero processo di programmazione: cosa diversa da mediazioni governative pur supportate dalla miglior pletora di comitati scientifici.