Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Schiavi per produrre camici monouso
Bltiz dei Nas in un laboratorio tessile di Paese: gli operai dormivano in fabbrica
TREVISO Un laboratorio tessile per la produzione di camici monouso, realizzati da lavoratori sfruttati e costretti a vivere negli stessi ambienti in cui lavoravano, in condizioni igieniche precarie. E’ quello scoperto a Paese, dai carabinieri dei Nas di Treviso che hanno denunciato il titolare, un 36enne cinese per la violazione delle norme relative alla sicurezza sul lavoro e per aver impiegato manodopera clandestina nella realizzazione di dispositivi di protezione.
PAESE Un laboratorio tessile per la produzione di camici monouso, realizzati da lavoratori sfruttati e costretti a vivere negli stessi ambienti in cui lavoravano, in condizioni igieniche precarie.
E’ quello scoperto a Paese, dai carabinieri dei Nas di Treviso che hanno denunciato il titolare, un 36enne cinese per la violazione delle norme relative alla sicurezza sul lavoro e per aver impiegato manodopera clandestina. I militari del Nucleo Antisofisticazione e Salute sono particolarmente impegnati in questo periodo di emergenza sanitaria da Covid-19, nel controllo delle attività produttive che hanno convertito la propria attività per la produzione di dispositivi di protezione. Controlli mirati alla sicurezza nei luoghi di lavoro e alla tutela della salute dei lavoratori di aziende ed imprese commerciali. Come il laboratorio di Paese nel quale i Nas, insieme ai colleghi della compagnia di Montebelluna e al personale dell’Usl 2, hanno messo a segno un blitz nei giorni scorsi. Quando hanno varcato i portoni del laboratori per l’ispezione, si sono trovati davanti una situazione ai limiti dello sfruttamento.
Nel capannone si lavorava a ritmo continuo, per produrre i camici monouso, in questo momento molto richiesti. Otto lavoratori di nazionalità cinese, erano impegnati alle macchine da cucire, in locali che si presentavano in pessime condizioni igienico-sanitarie. Ovunque vi era sporcizia, a terra e sui banchi di lavoro. Inoltre le aree di movimentazione erano ostruite da scatoloni e materiale che le rendevano impraticabili. Cosa molto rischiosa nel caso di un incidente o di un incendio che avesse reso indispensabile uscire di corsa dalla fabbrica. Se fosse successo i lavoratori si sarebbero trovati intrappolati.
Degli otto operai presenti al momento dell’ispezione, due sono risultati essere sprovvisti dei documenti di soggiorno e quindi clandestini e, naturalmente, anche privi di qualsiasi contratto di impiego. Tutti oltre a lavorare con turni molto lunghi, vivevano all’interno del laboratorio.
Una parte dell’immobile, era infatti stata adibita a zona abitativa per gli operai, a ridosso dei banchi di lavoro. C’erano le stanze da letto, con i materassi appoggiati a bancali disposti per terra, la cucina e la lavanderia. Anche in quest’area le condizioni igieniche erano molto precarie così come quelle di sicurezza. E’ stato infatti accertato che erano stati eseguiti alcuni lavori di adeguamento in modo in modo del tutto arbitrario, con modifiche all’impianto elettrico.
I carabinieri hanno riscontrato la presenza di «cavi interrotti, collegamenti realizzati con giunzioni posticce in nastro adesivo, spine collegate a prese multiple. Il tutto in violazione di qualsiasi norma in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro».
Altra grave situazione di pericolo è stata riscontrata per le porte tagliafuoco che erano state rimosse con un concreto rischio per l’omissione delle misure di prevenzione incendi. L’esito dell’ispezione è stato comunicato al sindaco Katia Uberti, che ha emesso un’ordinanza contingibile ed urgente di sgombero dell’edificio per l’adeguamento igienico sanitario e la messa in sicurezza. Il titolare dovrà rispondere per tutte le violazioni in termini di sicurezza e salute sul lavoro, oltre che per aver impiegato manodopera clandestina.
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Gli operai che lavoravano e dormivano nel laboratorio di proprietà di un cinese. Erano tenuti quasi in schiavitù