Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Un solo contagio in 24 ore
Paolo Rosi, coordinatore del Suem: «Abbiamo ospitato 120 pazienti delle regioni confinanti»
VENEZIA Un solo contagio nelle ultime 24 ore, in Veneto. «Siamo partiti da numeri spaventosi — dice Paolo Rosi, del Suem — lockdown decisivo».
VENEZIA Un solo contagio, ieri, nel Veneto. Un’altra giornata «in picchiata» dopo le due senza nuovi casi della scorsa settimana. «Ormai la curva del contagio è allo 0,06 per mille — spiega il governatore Luca Zaia — il nostro modello matematico non sbagliava quando indicava gli ultimi infetti a luglio». Un andamento controllato dall’assessore alla Protezione Civile, Gianpaolo Bottacin, che due giorni fa aveva confermato: «Verso la fine del mese è previsto l’azzeramento dei contagi e a inizio luglio quello dei ricoveri per Covid-19. Un giorno a quota zero o 1 non significa nulla dal punto di vista statistico, è necessaria la continuità». Intanto nelle Terapie intensive sono rimasti 15 degenti, uno solo ancora infetto, mentre si contano altre sette vittime.
Nel picco al ribasso ha giocato un ruolo decisivo il lockdown. «A marzo, senza le misure di contenimento non saremmo riusciti a gestire tutti i contagi e il sistema sarebbe collassato», conferma il dottor Paolo Rosi, coordinatore dei Suem 118 per il Centro regionale di urgenza-emergenza (Creu) e supervisore del focolaio di Verona. Esploso per ultimo e diventato il più numeroso, per i numerosi contagi e decessi avvenuti pure nelle case di riposo. Ulteriore difficoltà, si sono ammalati medici e dirigenti dell’Azienda ospedaliera di Verona e il direttore sanitario dell’Usl scaligera. Rosi è rientrato in tempo dalla Sierra Leone, dove ha creato insieme al Cuamm un 118 dotato di cento ambulanze. «Per affrontare al meglio l’epidemia, la Regione ha potenziato il numero di medici e operatori dei sette Suem provinciali, a fronte della crescita molto importante di chiamate — rivela — tra febbraio e marzo sono schizzate da 50mila a 75mila. Al contrario, gli interventi in ambulanza sono scesi dagli oltre 50mila a 40mila. E’ sparita tutta la traumatologia, per l’assenza di incidenti stradali, a causa dei pochi incidenti sul lavoro e della diminuzione degli infarti trattati, perché pur gravate da dolore al petto tante persone non hanno allertato il 118 per paura del contagio. E sono andate in arresto cardiaco. Però non abbiamo rilevato l’aumento di morti improvvise registrato a Brescia. Sia chiaro — aggiunge Rosi — chi ha sintomi gravi deve chiamarci, ma speriamo che i cittadini in tre mesi sopravvissuti lo stesso senza il Pronto Soccorso perché evidentemente colpiti da malanni non importanti, se lo ricordino. E usino il sistema di urgenza-emergenza se davvero ne hanno bisogno».
Il Creu ha gestito anche il monitoraggio dei letti di Terapia intensiva, per appurarne in tempo reale il tasso di occupazione, sapere dove portare i pazienti, capire quali ospedali fossero più intasati e quindi segnalare all’Usl di competenza dove incrementare la dotazione. I rianimatori inserivano i dati nel sistema centrale e il Creu verificava ora per ora quanti letti si stessero liberando e quanti, in base alle proiezioni, sarebbero stati a disposizione il giorno dopo. «Inizialmente ci siamo trovati di fronte a numeri spaventosi, non capivamo se saremmo riusciti a gestirli — confessa Rosi —. E’ stata una corsa contro il tempo, non sapevamo se i respiratori dei nuovi posti di Terapia intensiva sarebbero arrivati in tempo, abbiamo rincorso l’emergenza, ma sempre stando un passo avanti al virus. Tutti i giorni i letti aumentavano di 25-30-40: prima del Covid ne avevamo 450 e tutti pieni, poi sono cresciuti fino a 829. Ci siamo offerti di accogliere i malati non Covid delle regioni limitrofe — spiega — ma non durante la fase critica, in cui la disponibilità era zero. Un giorno in tutto il Veneto c’erano 10 letti liberi, un altro 50, poi sempre di più. Dal 31 marzo abbiamo iniziato a dare ai malati di fuori regione 2,3, 5 posti al giorno, perché eravamo sicuri di essere fuori dall’emergenza. Sono stati accolti oltre cento degenti delle regioni confinanti in reparto e 20 in Terapia intensiva».
Per non intasare gli ospedali, quasi 200 persone al giorno sono state prese in carico da altri servizi sul territorio. Il Suem è uno degli attori della pianificazione strategica e operativa della gestione dei pazienti nella fase acuta, degli accessi al Pronto Soccorso, dei criteri di ospedalizzazione e della destinazione dei malati in base alla patologia. E mantiene un profondo legame con il territorio, in primo luogo con medici di famiglia e Servizi di Prevenzione, che hanno appunto trattato i soggetti non bisognosi di ricovero. «Gli unici colleghi positivi al Covid-19, infermieri e piloti delle ambulanze, si sono infettati a inizio marzo a Venezia, quando ancora non si sapeva che il virus circolasse — chiude Rosi —. Poi, quando abbiamo cominciato a usare i dispositivi di protezione, nessuno è stato più contagiato».
Paolo Rosi Siamo sempre stati un passo avanti al virus, ma senza lockdown non ce l’avremmo fatta