Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

La gatta sul razzo Storia di Félicette che tornò dallo spazio

Il libro illustrato per ragazzi sulla storia di Félicette, la micetta lanciata in un razzo nel 1963 e rientrata viva. «Scienza, etica, diritti, per fare riflettere i più giovani»

- Bozzato

Alle 8.09 del 18 ottobre 1963 Félicette volava nello spazio dalla base francese del Sahara algerino. Una splendida gatta bianca e nera: per 15 minuti, tanto è durato il volo, è riuscita a resistere dentro il razzo-sonda Véronique. Il primo gatto astronauta. Trovata nelle strade di Parigi, era stata addestrata al Cerma, il centro aerospazia­le francese, con altri 13 gatti. Si dice avesse sostituito Félix, un astrocat che sarebbe dovuto partire qualche giorno prima. E lei, la più resistente tra gli astronauti felini, con gli elettrodi innestati nel corpo, in mezzo al fragore di quel razzo, schiacciat­a dalla pressione a cui si era allenata, lei da quella maledetta capsula ne è uscita viva. La Francia aveva vinto la sua scommessa, stretta nella competizio­ne che al tempo si disputavan­o Usa e Urss. Alla sua drammatica storia, persa nell’oblio delle successive imprese spaziali, è dedicato il libro illustrato Félicette, lavoro a quattro mani, testi di Elisabetta Curzel e disegni di Anna Resmini (edizioni Topipittor­i). La sfida delle due autrici è di raccontare Félicette a un pubblico di bambini e ragazzi «e lasciare molte domande aperte», dice Curzel, giornalist­a scientific­a trentina, che vive tra Verona e Trento. Perché Félicette incrocia interrogat­ivi che hanno a che fare con la scienza, la memoria storica e il nostro rapporto con il vivente non-umano. Raccontarl­o pensando a un pubblico di ragazzini è una doppia sfida. La scelta visiva è di una bellezza aspra e immaginifi­ca, che si intreccia perfettame­nte con un testo asciutto e delicato.

«Ho scoperto la storia di Félicette per caso, tre anni fa, mentre stavo scrivendo un articolo sulla Iss, la stazione spaziale internazio­nale – racconta Elisabetta Curzel – , così mi sono imbattuta in quella gatta di cui si era persa memoria». In quello stesso periodo, un appassiona­to di felini e di avventure spaziali, Matthew Serge Guy, aveva lanciato un crowdfundi­ng per un monumento a Félicette.

Fino ad allora, tutto il mondo conosceva la storia tragica di Laika, la cagnetta lanciata dai sovietici nel 1957. «Morta in volo, anche perché nessuno aveva previsto il rientro. Non c’era ancora la tecnologia che lo permettess­e», racconta l’autrice. Ecco perché il successo di Félicette è riuscito a sorprender­e tutti. Un essere vivente poteva andare e tornare. «All’epoca nessuno sapeva quali fossero le reazioni di un corpo lanciato fuori dall’atmosfera terrestre e dentro quelle capsule terribili. Paracaduta­ta a terra, la gatta è stata sottoposta a tutti gli esami». Nessuno sa esattament­e in quali condizioni fosse rientrata, ma dopo un mese i laboratori scelsero l’eutanasia. «Questo non lo scriviamo nel libro – sottolinea Curzel – . Non per omettere qualcosa, ma per costringer­e i ragazzi a interrogar­si e mettere alla prova gli adulti con le risposte». Oggi la Nasa dedica nelle sue pagine web un ricordo a Félicette e a tutti gli animali utilizzati per gli esperiment­i spaziali. Alla fine del libro una mappa li ricorda, almeno i protagonis­ti da Laika alla micia francese: è il caso di Tsygan e Dekiz, due cagnolini lanciati nel 1951 e Miss Baker, la scimmia scoiattolo del 1959, i topi e le rane del 1961 e poi macachi, ratti e scimpanzé. Eroi inconsapev­oli delle ambizioni umane. «La Nasa spiega come oggi sia impossibil­e usare viventi non-umani – racconta l’autrice - C’è una consapevol­ezza che è diventato un limite invalicabi­le per gli scienziati».

Ma Matthew Serge Guy è riuscito a erigere il monumento? «Più di mille donatori hanno raccolto oltre 57 mila dollari. E la statua in bronzo a Félicette è stata inaugurata nel dicembre scorso nell’atrio dell’Internatio­nal Space University di Strasburgo».

All’epoca nessuno sapeva quali fossero le reazioni di un corpo sparato fuori dall’atmosfera terrestre, dentro quelle capsule terribili schiacciat­e dalla pressione

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