Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Lo smart working svuota il centro»
Allarme dei commercianti: «Non solo pause pranzo. La gente non guarda le vetrine»
TREVISO Di sera la città si riempie, ma di giorno negozi e i centri direzionali si svuotano. «Il lockdown ha cambiato le abitudini - spiega il presidente di Confcommercio Federico Capraro - si continua con lo smart working». Risultato? La città si è svuotata anche dopo l’emergenza: «Bar e ristoranti sono solo l’aspetto più evidente, ma tutti subiamo il colpo: la gente non guarda più le vetrine» aggiunge Stefano Mazzoli, che ha bottega in centro.
TREVISO Di sera la città si riempie, si anima di un brulicante e vivace passeggiare, dall’aperitivo fino a notte.
I trevigiani escono, si fermano nei locali tornati in attività con plateatici più grandi e tanti tavolini all’aperto. Ma di giorno le città e i centri direzionali si svuotano. Il lockdown ha avuto conseguenze enormi sull’economia e le attività produttive e ancor più sulla forma di lavoro diventata necessaria con l’isolamento: smart work, lavoro da casa.
Per chi dipende dalle presenze giornaliere degli uffici è stata una mazzata. Bar, osterie, artigiani e negozi soffrono. «I modelli sono cambiati e semplificare quelli vecchi non è una soluzione – ragiona il presidente di Confcommercio Federico Capraro -. Lo smart work ha subito un’accelerazione notevole a causa del Covid e non scomparirà nemmeno superata la fase emergenziale. Dobbiamo gestirlo dal punto di vista economico e sociologico, non subirlo come succede ora. Le risposte per il terziario sono due: ridimensionamento dell’offerta e riposizionamento sul mercato. Bisogna cambiare per non cadere». La sintesi di
Capraro è: «Ci saranno meno attività e saranno diverse».
L’Italia che fa affari a tavola e che discute davanti al caffè oggi sostituisce gli uffici con pc e smartphone in remoto. A Treviso è evidente: durante il giorno la ristorazione fatica, c’è chi non apre nemmeno a pranzo, chi rimodula gli orari e chi chiude del tutto perché mancano i consumatori. Ormai le insegne affittasi e le vetrine oscurate si allargano a macchia d’olio. Il caro affitti mette alle strette anche ristoranti storici.
Un osservatorio privilegiato sul centro storico è quello di Stefano Mazzoli, già referente di Ascom per il capoluogo, dal suo negozio di abbigliamento in piazza Borsa: «Con lo smart working il transito durante il giorno è diminuito in modo notevole, a cavallo dell’ora di pranzo direi quasi il 60% in meno. Questo ha conseguenze su tutto il lavoro della città, ristoranti, bar e pizzerie sono gli esercizi in cui si nota meglio ma vale anche per il commercio tradizionale. Si perde l’emozione della vetrina e la curiosità all’acquisto». Secondo Mazzoli serve un ripensamento generale: «Lo smart working è una grande opportunità per aziende e lavoratori ma ha un impatto enorme, va scaglionato per non incidere negativamente sulla vita delle città. In un momento come questo, in cui il turismo manca, le disponibilità delle famiglie sono ridotte e ci sono molte fragilità, trasformare la normalità di un paese togliendo la clientela determinata dal lavoro in ufficio ha dei riflessi rischiosi».
C’è un luogo che oggi, per Capraro, rappresenta ancor meglio il fenomeno: l’Appiani. «Prima abbiamo spopolato il centro per mettere uffici, poi abbiamo portato gli uffici fuori dal centro – riflette il presidente -, ora si svuotano anche quelli, i centri direzionali sono in affanno. L’Appiani, ora ancora più deserto, non è mai veramente decollato e sta subendo una seconda crisi. Bisognerà ripensare quella cittadella perché se si svuotano i contenitori con varietà di flussi, figuriamoci uno che ha un flusso unico».
Il ragionamento dev’essere quindi condiviso con le aziende, le istituzioni e le categorie perché il processo non è più reversibile, e va discusso subito: «Il lavoro smart è un’opportunità nella misura in cui riduce traffico e consumi, ci sono molti aspetti positivi, ma funziona solo se mettiamo in discussione il nostro modello. Dobbiamo farlo funzionare ridiscutendo abitudini che non torneranno più».
Mazzoli Non si tratta solo di pranzi: con il lockdown si è persa anche l’emozione degli acquisti, la curiosità verso le vetrine