Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Camera, De Carlo è out Entra il leghista Paolin
La Giunta per le elezioni chiude il riconteggio dei voti dopo 2 anni e 4 mesi. L’esponente FdI: sono sfinito
VENEZIA «Mia nonna diceva che il Signore mette la croce sulle spalle di chi può portarla. Mi permetto di dire che adesso sta un po’ esagerando...». È un sorriso amaro, quello di Luca De Carlo, sindaco di Calalzo e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia che ieri, a 2 anni e 4 mesi dalle elezioni, ha scoperto di dover cedere il suo scranno alla Camera al leghista Giuseppe Paolin, trevigiano, responsabile organizzativo del partito di Salvini in Veneto.
Una vicenda incredibile la loro, di ordinaria follia burocratico-elettorale, «di quelle che possono succedere solo in Italia» commentano entrambi
scuotendo la testa. Perché se De Carlo si ritiene ingiustamente privato degli ultimi due anni e mezzo del suo mandato, Paolin si sente a sua volta defraudato dei primi due anni e mezzo e insomma, questa è una di quelle storie dove non è vero che metà per uno non fa male a nessuno: tutti ne escono ammaccati, soprattutto la democrazia.
I fatti. Il 4 marzo si celebrano le elezioni e, dalla prima conta dei voti, in quota proporzionale nel collegio Veneto 2 (che comprende Belluno e Treviso), risulta eletto De Carlo. Ma non viene proclamato. In Calabria, infatti, restano ancora da scrutinare 30 Comuni e c’è il dubbio che per il gioco dei «resti» prodotti dal Rosatellum, il cosiddetto «flipper», l’assegnazione dei seggi possa cambiare. Cosa che puntualmente si verifica 12 giorni dopo, con decisione della Corte d’Appello di Venezia. A Roma non ci deve andare De Carlo, ma il leghista Giuseppe «Bepi» Paolin. Una beffa atroce per De Carlo: nel verde leghista che dominava la mappa del Veneto c’era un solo puntino blu «Fratelli d’Italia» ed era la sua Calalzo.
La sfortuna di Paolin è che con De Carlo lascia Montecitorio pure una deputata forzista di Reggio Calabria Maria Tripodi, che le cronache vogliono molto amica di Francesca Pascale, all’epoca compagna di Silvio Berlusconi. I big di Forza Italia, capitanati da Renato Brunetta, presentano subito ricorso a Catanzaro e in quattro-giorni-quattro il verdetto si ribalta: Tripodi torna dentro e con lei pure De Carlo. Paolin deve tornarsene a Possagno. Il verdetto pare ormai inequivocabile, perché si è pronunciata perfino la Cassazione. E invece. Si arriva a ieri: la Giunta per le Elezioni della Camera chiude (dopo due anni!) il riconteggio delle schede dei collegi maggioritari e si accorge che, alla luce dei nuovi risultati, i conti non tornano più manco nel proporzionale. Aveva ragione chi all’inizio aveva avuto torto, poi ragione e quindi di nuovo torto. E cioè Paolin.
«Non mi aggrappo alla poltrona, non farò l’ennesimo ricorso, a questo punto sono sfinito - commenta De Carlo spero solo che nei due anni che mancano alla fine della legislatura il parlamento corregga questa legge indegna, nessuno merita di essere trattato così». Paolin non infierisce: «È stato un fulmine a ciel sereno anche per me, non ci speravo più. Aspetto l’ufficialità che dovrebbe arrivare a inizio agosto. Fino ad allora, incrocio le dita. E non festeggio».
De Carlo Nessuno merita un simile trattamento La legge va cambiata
Paolin Ormai non ci speravo più, fino all’ufficialità non festeggio