Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Posti di lavoro, dopo la paralisi c’è un rimbalzo
I dati al 30 giugno: senza blocco dei licenziamenti avremmo 10 mila contratti in meno
VENEZIA A maggio e giugno la creazione di posti di lavoro in Veneto è ripartita, contribuendo a mantenere positivo il saldo del primo semestre. Ma senza blocco dei licenziamenti i numeri sarebbero diversi.
Occupazione e Covid19, con gli ultimi dati su assunzioni e cessazioni in Veneto, pubblicati ieri dall’agenzia regionale Veneto Lavoro, si è tirata una riga sulla soglia simbolica del primo semestre dell’anno. Con una metafora calcistica, si tratta della fine del primo tempo di una partita iniziata così così e proseguita malissimo per lo strapotere dell’avversario, nonostante un riassestamento degli schemi di gioco nell’ultimo quarto d’ora. Rimontare sarà impossibile ma, a fine gara, sarebbe già un ottimo risultato constatare che la squadra c’è e che lo choc è stato metabolizzato.
Qui non si tratta di differenza fra gol fatti e subiti ma fra posti di lavoro creati e persi, ricordando che la questione riguarda i contratti da lavoro dipendente (a tempo indeterminato e determinato e di apprendistato) e ovviamente in ambito privato. La nostra regione, questo è il dato macro, chiude il semestre con un saldo positivo di 23.800 unità, cifra che così dice poco se non la si confronta con il +90.700 rilevato un anno fa. I grafici degli analisti di Veneto Lavoro sono dettagliati ma, per semplificare, è bene tenere presente le tre grandi fasi in cui va suddiviso il semestre, grosso modo di durata simile. La prima va dall’inizio dell’anno al 22 febbraio e fin qui ci si interrogava al massimo sull’affanno riflesso nei 40.400 posti di lavoro generati rispetto ai 45 mila dell’anno precedente.
Poi è arrivata la pandemia, c’è stato il lockdown e la difesa è saltata. Il Veneto, fra il 23 febbraio e il 3 maggio, è andato sotto di 27.800 posizioni, quando negli stessi settanta giorni del 2019 aveva dato occupazione a 31.300 lavoratori in più. Il 4 maggio, finalmente, anche le imprese che non rientravano nelle deroghe riconosciute nei (confusi) schematismi dei codici Ateco hanno potuto riavviare impianti e uffici e la squadra veneta ha riconquistato il centrocampo: il saldo fra assunti e licenziati è tornato positivo e, sia pure in modo meno sostanzioso, ad assomigliare a quello del 2019.
Negli ultimi due mesi le posizioni di lavoro guadagnate sono state più di 11 mila, sulle 14 mila abbondanti di un anno fa, ed ecco dunque uscire dalla calcolatrice i saldi citati in apertura. Ma bisogna a questo punto introdurre nel ragionamento due fattori che «drogano» la dinamica e che rendono impropri i confronti con il 2019. Il primo è l’incidenza sulla flessione complessiva esercitata dal comparto dei servizi turistici che, fortemente contraddistinto da una domanda di lavoro stagionale, «da solo spiega – sottolineano gli esperti di Veneto Lavoro - oltre la metà della contrazione occupazionale regionale. Dall’esordio della crisi, il turismo ha visto crollare la domanda con una riduzione di circa 36 mila unità». Con la fine del lockdown, la componente non stagionale ha ripreso tono ma non basta certo a compensare il mancato rientro di migliaia di lavoratori negli alberghi e nei ristoranti, in particolare sul litorale adriatico.
L’altro tema che altera i conteggi è il blocco dei licenziamenti, vietati fino a metà agosto (e, probabilmente, fino a fine anno). Quanti sarebbero altrimenti i contratti oggi destinati a chiudersi? Una stima plausibile ruota attorno ai 10 mila.
«In questo periodo di blocco dei licenziamenti e di cassa integrazione – è l’osservazione dell’assessore regionale veneto alle politiche dell’occupazione, Elena Donazzan - le imprese cercano di non penalizzare le proprie attività e di investire sul capitale umano. Perciò lo Stato potrebbe riconoscere le risorse che avrebbe usato per la sospensione del lavoratore all’azienda che lo mantiene in forze. Abbiamo bisogno di abbassare il costo del lavoro. Oggi non è solo uno slogan – conclude - ma una necessità assoluta».