Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Mascherine, un milione al giorno solo per la scuola
VENEZIA Oggetto introvabile nei primi giorni dell’emergenza coronavirus, al punto da circolare in piccole reti quasi di «mercato nero» insieme all’alcol e alla farina, la mascherina, tornata in questi giorni protagonista degli scenari dell’imminente futuro lavorativo e scolastico, è un dispositivo che oggi non riflette bene la sua complessità. In primo luogo per la varietà dei suoi esemplari. Si va da quelle per uso «civile», di cui la chirurgica è il tipo più noto, a quelle professionali a più livelli di filtraggio. Le prime per proteggere gli altri dalla diffusione del virus di cui potremmo teoricamente essere portatori (uno schermo per il nostro droplet, insomma), la seconda per tutelare chi la indossa da potenziali aerosol infetti generati da altri.
E questo senza considerare le versioni riutilizzabili perché lavabili, a volte con decorazioni che sdrammatizzano la ragione per cui viene indossata.
Il secondo e più articolato aspetto del «prodotto mascherina» sta nelle infinite reti attraverso le quali lo stesso arriva nelle nostre mani. Data per definitivamente superata la questione dell’autosufficienza nazionale nella sua realizzazione, non è comunque affatto detto che flussi del prodotto non giungano da fabbriche estere e che i modelli italiani non siano, a loro volta, esportati, direttamente o tramite reti di società commerciali che rendono di fatto privo di significato il tema del luogo di produzione. Sempre, naturalmente, che si tratti di modelli certificati e perciò legali. Con l’apertura delle scuole si calcola che il fabbisogno nazionale di pezzi — uno al giorno per ogni studente, dai sei anni in poi, e per tutto il personale docente e non — sia compreso fra i 10,5 e gli 11 milioni. In Veneto la cifra è all’incirca di un milione e a dotare ogni persona
2,5 milioni di mascherine di Grafica Veneta vanno alla Protezione civile
ci penserà direttamente il ministero dell’Istruzione, secondo regole di distribuzione ancora da definire.
La mascherina è comunque anche un prodotto di consumo che consentì a molte imprese di rientrare nei codici «Ateco» (quelli che ad aprile discriminarono le aziende da chiudere tassativamente da quelle autorizzate ad operare), per i quali la prosecuzione dell’attività era consentita. «Adesso stiamo producendo 4 milioni di mascherine al giorno — interviene Fabio Franceschi, presidente di Grafica Veneta, colosso tipografico di Trebaseleghe che in pochi giorni, all’inizio dell’epidemia, rifornì il Veneto di mascherine ancora per lo più irreperibili — di cui più di 2,5 milioni destinate alla Protezione civile e il resto agli ospedali. Non abbiamo mai rallentato, dal primo luglio lavoriamo senza sosta e a Ferragosto lo stop degli impianti è stato in tutto di 20 ore. Posso affermare che il business delle mascherine mi ha permesso di recuperare quel 15% di fatturato perduto dalla mia attività caratteristica, cioè la stampa di libri e prodotti editoriali. Non abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione e credo che potremo chiudere l’anno con indicatori economici allineati con quelli dello scorso anno». Pronta ad ogni evenienza è anche «Punto Piuma» di Campodarsego, insegna specializzata nei prodotti imbottiti per l’arredamento che, con altrettanta rapidità, a marzo riconvertì parte delle macchine alla realizzazione di dispositivi di protezione individuale. «Che si stia riaccendendo la domanda è un dato di fatto — riconosce il manager Roberto Lovato — e non mi sorprenderei se, alla conclusione della stagione turistica, fossero stabiliti nuovi blocchi di circolazione fra certi territori. Credo sia inevitabile una nuova invernata con un utilizzo massiccio di mascherine».
Fabio Franceschi
Stiamo producendo 4 milioni di mascherine al giorno. Un business che ha permesso di recuperare il 15% di fatturato perduto
Roberto Lovato
La domanda di mascherine si sta riaccendendo, con la fine della stagione turistica mi attendo nuovi blocchi