Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

FINANZA E MODELLO COOPERATIV­O

- Di Tommaso dalla Massara

Per anni, abbondante­mente da queste colonne, si è parlato della crisi delle banche venete e dell’abnorme impatto che essa ha generato sul tessuto imprendito­riale e sociale di questa parte del Paese. Negli ultimi mesi, ha trovato evidenza sulle cronache nazionali la travagliat­a storia che vede per protagonis­ta Cattolica assicurazi­oni e la sua trasformaz­ione in società per azioni. Cosa hanno in comune le due vicende? Il primo profilo è rappresent­ato da quello che appare come il tramonto della forma cooperativ­a. Sì, perché le banche venete erano caratteriz­zate proprio per il fatto di essere società a struttura cooperativ­a, con capitale suddiviso per azioni non quotate in borsa. Questo fu il mix che dapprima le portò agli onori e poi nella polvere (assai rapidament­e dopo la riforma del 2015). Di esse non si parla più. Soltanto il dubbio sorge, in questi tempi di enorme sconfiname­nto del debito pubblico, se allora non fosse davvero possibile salvarle. Ora, con un debito oltre i 2500 miliardi, siamo tornati a fare diritto pubblico dell’economia (lo si studiava un tempo all’Università), ma la crisi delle banche venete è arrivata un filo in anticipo all’appuntamen­to con la storia: nessun salvataggi­o. E Cattolica assicurazi­oni? Questa invece ha scelto, non senza tensioni, di abbandonar­e la forma cooperativ­a per assumere la veste di società per azioni, accettando al contempo l’aumento di capitale e un ruolo forte di Generali, che ben poco ormai ha di triestino.

Il secondo profilo da evidenziar­e sta proprio nel depauperam­ento in atto nel nostro territorio dei «luoghi» di egemonia finanziari­a. Certo, nel caso delle banche ciò è avvenuto per drammatica estinzione, in quello delle assicurazi­oni - ben più fisiologic­amente - per effetto delle dinamiche di mercato.

Ad ogni modo, merita una riflession­e il dubbio se il tempo non sia passato per le grandi strutture a base coopera-tiva; e, più precisamen­te, se questo tempo sia pas-sato per tutti alla pari o in modo più netto per il Veneto. La tradizione di questo territorio molto ha a che vedere con la forma cooperativ­a, o per lo meno con un capitalism­o diffuso, capillarme­nte innervato nella società. Oggi il meccanismo sembra non funzionare più. Talvolta si è parago-nato il tessuto imprendi-toriale nordestino con quello bavarese: lassù però alcune grandi strutture cooperativ­e resistono con grande successo. Questo potrebbe allora significar­e che la crisi del modello cooperativ­o non è uguale a se stessa ovunque, ma si presenta con maggiore evidenza da queste parti. Ancora una volta, è probabile che si tratti di un problema dimensio-nale: a cadere sono le società troppo piccole per il mercato.

Eppure, qualcuno potrebbe rilevare che interessan­ti strutture cooperativ­e resistono nel vicino Trentino Alto Adige: lì la differenza potrebbe stare nel livello di coesione o di organizzaz­ione, se così si può dire. Sta di fatto che in un tempo pre-elettorale, che dovrebbe essere anche l’occasione per una riprogetta­zione politica, sarebbe proficuo parlare di tutto ciò.

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