Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
FINANZA E MODELLO COOPERATIVO
Per anni, abbondantemente da queste colonne, si è parlato della crisi delle banche venete e dell’abnorme impatto che essa ha generato sul tessuto imprenditoriale e sociale di questa parte del Paese. Negli ultimi mesi, ha trovato evidenza sulle cronache nazionali la travagliata storia che vede per protagonista Cattolica assicurazioni e la sua trasformazione in società per azioni. Cosa hanno in comune le due vicende? Il primo profilo è rappresentato da quello che appare come il tramonto della forma cooperativa. Sì, perché le banche venete erano caratterizzate proprio per il fatto di essere società a struttura cooperativa, con capitale suddiviso per azioni non quotate in borsa. Questo fu il mix che dapprima le portò agli onori e poi nella polvere (assai rapidamente dopo la riforma del 2015). Di esse non si parla più. Soltanto il dubbio sorge, in questi tempi di enorme sconfinamento del debito pubblico, se allora non fosse davvero possibile salvarle. Ora, con un debito oltre i 2500 miliardi, siamo tornati a fare diritto pubblico dell’economia (lo si studiava un tempo all’Università), ma la crisi delle banche venete è arrivata un filo in anticipo all’appuntamento con la storia: nessun salvataggio. E Cattolica assicurazioni? Questa invece ha scelto, non senza tensioni, di abbandonare la forma cooperativa per assumere la veste di società per azioni, accettando al contempo l’aumento di capitale e un ruolo forte di Generali, che ben poco ormai ha di triestino.
Il secondo profilo da evidenziare sta proprio nel depauperamento in atto nel nostro territorio dei «luoghi» di egemonia finanziaria. Certo, nel caso delle banche ciò è avvenuto per drammatica estinzione, in quello delle assicurazioni - ben più fisiologicamente - per effetto delle dinamiche di mercato.
Ad ogni modo, merita una riflessione il dubbio se il tempo non sia passato per le grandi strutture a base coopera-tiva; e, più precisamente, se questo tempo sia pas-sato per tutti alla pari o in modo più netto per il Veneto. La tradizione di questo territorio molto ha a che vedere con la forma cooperativa, o per lo meno con un capitalismo diffuso, capillarmente innervato nella società. Oggi il meccanismo sembra non funzionare più. Talvolta si è parago-nato il tessuto imprendi-toriale nordestino con quello bavarese: lassù però alcune grandi strutture cooperative resistono con grande successo. Questo potrebbe allora significare che la crisi del modello cooperativo non è uguale a se stessa ovunque, ma si presenta con maggiore evidenza da queste parti. Ancora una volta, è probabile che si tratti di un problema dimensio-nale: a cadere sono le società troppo piccole per il mercato.
Eppure, qualcuno potrebbe rilevare che interessanti strutture cooperative resistono nel vicino Trentino Alto Adige: lì la differenza potrebbe stare nel livello di coesione o di organizzazione, se così si può dire. Sta di fatto che in un tempo pre-elettorale, che dovrebbe essere anche l’occasione per una riprogettazione politica, sarebbe proficuo parlare di tutto ciò.