Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Carel più forte della pandemia vola in Borsa: +63% in sei mesi
Il mercato scommette su hi-tech e produzione a prova di lockdown
PADOVA La Borsa incorona Carel tra le aziende a prova di pandemia. Produzione in più continenti, che si può spostare in caso di blocco. Organizzazione flessibile, che esalta questa capacità con continui miglioramenti. E prodotti hi-tech per settori strategici, specie in caso di lockdown, come i centri di calcolo e i supermercati, o su cui si punta alla riapertura, per far ripartire l’economia, come l’efficienza energetica legata all’edilizia. C’è tutto questo dietro all’incredibile rimbalzo in Borsa degli ultimi sei mesi di Carel, il gruppo padovano dei sistemi elettronici di controllo per gli impianti di condizionamento e refrigerazione delle famiglie Rossi Luciani e Nalini, che ha messo a segno un rialzo del 63%, a fronte di un indice di Borsa (il Ftse all share) ancora sotto del 22%.
Così se si comparano le quotazioni del 21 febbraio, quando con la prima vittima da coronavirus a Vo’ scattarono le restrizioni, e di ieri, si vede che dagli 11,98 euro di sei mesi fa, dopo una discesa culminata nel minimo di 8,7 euro del 23 marzo (da allora il titolo è rimbalzato del 125%), il titolo ha iniziato a risalire fino ai 19,56 euro, dopo il picco a 19,9 di mercoledì. Con un valore attribuito dal mercato alla società di oltre 1,9 miliardi, 743 milioni in più di sei mesi fa. E se si guarda all’esordio di Borsa dell’11 giugno 2018 la rivalutazione rispetto ai 7,2 euro di allora è stata del 170%.
«Penso ci siano più fattori che i mercati apprezzano - sostiene l’amministratore delegato, Francesco Nalini -. Intanto la resilienza produttiva: gli effetti dei lockdown in Cina e Italia sono stati mitigati dalla ridondanza produttiva e di fornitura adottata da anni. Circa il 90% dei nostri prodotti può essere realizzato contemporaneamente in almeno due stabilimenti. Così alla chiusura in Cina (per altro solo una settimana) abbiamo ovviato spostando produzioni in Europa. Il lockdown in Italia è stato più pesante; ma di fronte al rischio avevamo aumentato la capacita produttiva in Croazia e Cina, tenendo materiali dispocienza
nibili in Italia in un polo logistico esterno». Una diversificazione già approntata da Carel di fronte alle difficoltà createsi negli anni o per la carenza di componenti elettronici indotta dal boom dell’Internet delle cose o per la guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti.
L’altro punto di forza visto dai mercati è sulla domanda. Agli sbocchi legati alla climatizzazione dei data center, strategici per le attività da remoto mediate da computer e digitale, o alla refrigerazione dei supermarket e dell’alimentare, che non conoscono stop, si aggiungono le opportunità postlockdown. «Come i progetti di sanificazione dell’aria - penso a quelli che vediamo nelle banche in Messico o nei condomini di lusso in Cina - o nell’effi
energetica», dice l’Ad. Qui si va dagli incentivi del 3540% sulle pompe di calore in Germania al superbonus del 110% in Italia, che «richiamano» controlli Carel.
L’effetto è che, dopo aver toccato nel 2019 ricavi per 327 milioni di euro (+17%), con un Ebitda di 63 e un utile netto di 35 (30 nel 2018), Carel mantiene risultati nel primo trimestre 2020 vicini a quelli dell’anno prima, con il calo dei ricavi sotto il 2% e una previsione nel primo semestre sotto il 10%. E la strategia di diversificazione non si ferma: «Abbiamo aggiunto linee produttive, altre ne aggiungeremo nei prossimi mesi e affinato i doppi fornitori, prevedendo in ogni area che siano in Paesi diversi - dice Nalini -. E poi introdotto sistemi di controllo a distanza con la realtà aumentata, che ci permettono di controllare linee produttive in stabilimenti lontani senza spostare tecnici».
E la reazione e riflessione strategica sui cambiamenti della pandemia vanno avanti su più livelli. Dall’adattamento rapido, che ha fatto saltare fino a fine anno la specializzazione della forza vendite, per raccogliere tutte le opportunità, fino allo sforzo per capire gli effetti della crescita dei servizi digitali e del commercio elettronico, o della diagnostica da remoto, o nei nuovi ambiti della sanificazione dell’aria, per arrivare a un’offerta specifica dopo aver adattato le soluzioni esistenti.
La domanda finale è se il caso Carel abbia qualcosa da dire in senso generale alle aziende di casa nostra: «La pandemia ha accelerato tendenze già in atto, con le guerre dei dazi, di limitazione della globalizzazione - conclude Nalini -. È sempre più impensabile servire il mondo solo dall’Italia, senza basi locali. Anche di fronte alla tendenza di una duplicazione delle piattaforme tecnologiche e di servizio digitale in ecosistemi separati tra Occidente e Cina. Ciò impone scelte ineludibili sulle dimensioni d’impresa. Infine, per le aziende che pensano alla Borsa, va messa in conto una comunicazione trasparente. Per noi averla fatta sulla situazione dei nostri stabilimenti nel lockdown ha pagato».
Nalini Stabilimenti e forniture diversificati pagano Ora nuove opportunità