Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La colata di ghiaccio come lava del vulcano «Ha sfondato la porta e son finito in strada»
VERONA Non c’è stata avvisaglia, né premonizione. Il vento sì, era terribile e domenica a Verona, alle sette di sera, tutti guardavano le cime degli alberi chiedendosi come potevano stare su – in effetti ne sono venute giù 500 di piante - ma nessuno in quel momento pensava alla grandine, non in quella forma almeno. Tre le strade che da Sant’Alessio salgono sulle colline delle Torricelle, Via dei Colli, Castello San Felice e via Caroto, da tutte e tre il ghiaccio raccoltosi in alto è venuto giù incanalandosi con la forza di una colata lavica. Che ha intasato tombini, saltato griglie e canali di scolo, fino a raggiungere l’Adige. Ieri mattina i mucchi di grandine in via Sant’Alessio erano ancora alti un metro resistenti al caldo che pareva di essere sul ghiacciaio.
A ogni modo la celebrità è lui, l’uomo in ammollo. Daniele Iattarelli, l’odontotecnico ripreso e rilanciato sul web mentre è on the rocks, immerso fino alle ascelle in una granatina bianca. Saltella e sembra un po’ schifato dalla lordura ghiacciata in cui è immerso. «In realtà no – dice – cercavo solo di tenere fuori le braccia per non finirci dentro del tutto». Daniele ha fatto il militare a Cuneo, negli alpini e si capisce.
L’ha tirato fuori il Franco Bazzoli, un signore che passava di lì – e dire passava non rende – portato dal vento o mandato da Sant’Alessio (è la via del santo mendicante) dal momento che, miracolosamente, nessuno si è fatto male nel tornado che ha strapazzato Verona. «Ero nel mio laboratorio – racconta il professionista – quando, improvvisamente, la porta d’ingresso ha ceduto di schianto e in un attimo mi sono trovato immerso, travolto al punto che non sarei nemmeno potuto uscire se dall’altra parte della strada un’altra saracinesca non avesse ceduto. In quel momento la marea bianca ha cambiato direzione e per qualche istante è defluita nell’altro negozio, così io sono stato come trasportato fuori. Di colpo mi sono trovato nel vicolo».
Nel vicolo il professionista ci è rimasto per quattro minuti buoni, «immerso fino alle ascelle in un metro e 60 centimetri di ghiaccio» mentre qualcuno rimasto sconosciuto riprendeva la scena con il telefonino. «Cercavo di spostarmi a saltelli ma anche così non andavo lontano, ho inciampato su qualcosa di alto, allora mi sono attaccato alle tubature – quelle vede, ci sono ancora le mie impronte – e così, aggrappato, tirandomi su ho fatto ancora qualche metro». Una volta all’asciutto, scosso dai brividi e in evidente stato di ipotermia, Daniele ha incontrato altri due buoni samaritani, «una coppia, marito e moglie che abitano qui vicino in via Portichetti, sono quelli che mi hanno portato a casa loro e mi hanno servito un the caldo, fornito di vestiti asciutti e ciabatte. Non ho ancora potuto ringraziarli perché non li ho visti». Non è andato in ospedale, ieri la star del tornado veronese era solo un po’ stordita da tanta attenzione, occupata più a portar fuori protesi, stampi di mandibole e mascelle, macchinari andati in malora piuttosto che ad interrogarsi sulla sua performance. «Anzi, qui mi sono andati in fumo dieci anni di lavoro e centomila euro di roba. I clienti dovranno aspettare per una nuova protesi».
Il governatore Luca Zaia, in visita di ricognizione con i tecnici della Regione, ha scambiato qualche parola con lui: «Mi ha detto di fare bene l’inventario dei danni e di mandarlo in Comune». Così farà. Un portone più in là, come lui, altra gente fa gli stessi conti, i signori Dorizzi Grande e Casciano ad esempio il cui garage magazzino ha imbarcato tanta grandine da spostavi la macchina parcheggiata all’ingresso, «ora è là in fondo e sotto ci sono i motorini dei ragazzi, non abbiamo ancora guardato cosa c’è nella stanza accanto perché non ci siamo ancora arrivati». La grandine impastata di foglie e terriccio si è rappresa formando una solida massa che per raccoglierla bisogna romperla con la vanga. «Quando ce l’hai alle ginocchia come l’ho avuta io – racconta la signora Laura Ferrari della Coop Ceis – punge le gambe come fossi in mezzo ai rovi», anche lei con la sede devastata.
Spettacolare l’assenza di vittime. A testimoniare la forza del vento non solo gli alberi di traverso su tutto il Lungadige, i cartelli stradali piegati come bamboo - lo spazio libero del fiume ha fatto da sifone – ma è lo spettacolo delle case sulle quali le foglie sono volate stampandosi per rimanervi incollate come se alla città fosse venuta l’itterizia. «Davanti alla mia abitazione di via Marsala c’era un abete secolare – spiegano i signori Marco e Loretta – noi non l’abbiamo neanche sentito venire giù tanto erano il rumore del vento e della grandine, nemmeno quando ha abbattuto il terrazzino dei vicini e ha sfondato la loro macchina. La ringhiera del terrazzino è volata sul glicine e sta ancora lì, appesa come uno straccio». «C’erano due fronti neri di nubi che si fronteggiavano, li abbiamo visti scontrarsi di brutto e sotto aprirsi una cascata bianca – ripetono – subito dopo bisognava urlarsi nelle orecchie per capire qualcosa».