Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

La colata di ghiaccio come lava del vulcano «Ha sfondato la porta e son finito in strada»

- Di Emilio Randon

VERONA Non c’è stata avvisaglia, né premonizio­ne. Il vento sì, era terribile e domenica a Verona, alle sette di sera, tutti guardavano le cime degli alberi chiedendos­i come potevano stare su – in effetti ne sono venute giù 500 di piante - ma nessuno in quel momento pensava alla grandine, non in quella forma almeno. Tre le strade che da Sant’Alessio salgono sulle colline delle Torricelle, Via dei Colli, Castello San Felice e via Caroto, da tutte e tre il ghiaccio raccoltosi in alto è venuto giù incanaland­osi con la forza di una colata lavica. Che ha intasato tombini, saltato griglie e canali di scolo, fino a raggiunger­e l’Adige. Ieri mattina i mucchi di grandine in via Sant’Alessio erano ancora alti un metro resistenti al caldo che pareva di essere sul ghiacciaio.

A ogni modo la celebrità è lui, l’uomo in ammollo. Daniele Iattarelli, l’odontotecn­ico ripreso e rilanciato sul web mentre è on the rocks, immerso fino alle ascelle in una granatina bianca. Saltella e sembra un po’ schifato dalla lordura ghiacciata in cui è immerso. «In realtà no – dice – cercavo solo di tenere fuori le braccia per non finirci dentro del tutto». Daniele ha fatto il militare a Cuneo, negli alpini e si capisce.

L’ha tirato fuori il Franco Bazzoli, un signore che passava di lì – e dire passava non rende – portato dal vento o mandato da Sant’Alessio (è la via del santo mendicante) dal momento che, miracolosa­mente, nessuno si è fatto male nel tornado che ha strapazzat­o Verona. «Ero nel mio laboratori­o – racconta il profession­ista – quando, improvvisa­mente, la porta d’ingresso ha ceduto di schianto e in un attimo mi sono trovato immerso, travolto al punto che non sarei nemmeno potuto uscire se dall’altra parte della strada un’altra saracinesc­a non avesse ceduto. In quel momento la marea bianca ha cambiato direzione e per qualche istante è defluita nell’altro negozio, così io sono stato come trasportat­o fuori. Di colpo mi sono trovato nel vicolo».

Nel vicolo il profession­ista ci è rimasto per quattro minuti buoni, «immerso fino alle ascelle in un metro e 60 centimetri di ghiaccio» mentre qualcuno rimasto sconosciut­o riprendeva la scena con il telefonino. «Cercavo di spostarmi a saltelli ma anche così non andavo lontano, ho inciampato su qualcosa di alto, allora mi sono attaccato alle tubature – quelle vede, ci sono ancora le mie impronte – e così, aggrappato, tirandomi su ho fatto ancora qualche metro». Una volta all’asciutto, scosso dai brividi e in evidente stato di ipotermia, Daniele ha incontrato altri due buoni samaritani, «una coppia, marito e moglie che abitano qui vicino in via Portichett­i, sono quelli che mi hanno portato a casa loro e mi hanno servito un the caldo, fornito di vestiti asciutti e ciabatte. Non ho ancora potuto ringraziar­li perché non li ho visti». Non è andato in ospedale, ieri la star del tornado veronese era solo un po’ stordita da tanta attenzione, occupata più a portar fuori protesi, stampi di mandibole e mascelle, macchinari andati in malora piuttosto che ad interrogar­si sulla sua performanc­e. «Anzi, qui mi sono andati in fumo dieci anni di lavoro e centomila euro di roba. I clienti dovranno aspettare per una nuova protesi».

Il governator­e Luca Zaia, in visita di ricognizio­ne con i tecnici della Regione, ha scambiato qualche parola con lui: «Mi ha detto di fare bene l’inventario dei danni e di mandarlo in Comune». Così farà. Un portone più in là, come lui, altra gente fa gli stessi conti, i signori Dorizzi Grande e Casciano ad esempio il cui garage magazzino ha imbarcato tanta grandine da spostavi la macchina parcheggia­ta all’ingresso, «ora è là in fondo e sotto ci sono i motorini dei ragazzi, non abbiamo ancora guardato cosa c’è nella stanza accanto perché non ci siamo ancora arrivati». La grandine impastata di foglie e terriccio si è rappresa formando una solida massa che per raccoglier­la bisogna romperla con la vanga. «Quando ce l’hai alle ginocchia come l’ho avuta io – racconta la signora Laura Ferrari della Coop Ceis – punge le gambe come fossi in mezzo ai rovi», anche lei con la sede devastata.

Spettacola­re l’assenza di vittime. A testimonia­re la forza del vento non solo gli alberi di traverso su tutto il Lungadige, i cartelli stradali piegati come bamboo - lo spazio libero del fiume ha fatto da sifone – ma è lo spettacolo delle case sulle quali le foglie sono volate stampandos­i per rimanervi incollate come se alla città fosse venuta l’itterizia. «Davanti alla mia abitazione di via Marsala c’era un abete secolare – spiegano i signori Marco e Loretta – noi non l’abbiamo neanche sentito venire giù tanto erano il rumore del vento e della grandine, nemmeno quando ha abbattuto il terrazzino dei vicini e ha sfondato la loro macchina. La ringhiera del terrazzino è volata sul glicine e sta ancora lì, appesa come uno straccio». «C’erano due fronti neri di nubi che si fronteggia­vano, li abbiamo visti scontrarsi di brutto e sotto aprirsi una cascata bianca – ripetono – subito dopo bisognava urlarsi nelle orecchie per capire qualcosa».

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L’uomo del video Daniele Iattarelli

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