Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Prima la Geriatria e le rsa poi la Serena e le aziende I sei mesi della Marca nella morsa del Covid

- di Silvia Madiotto

TREVISO Mezzo anno. Per qualcuno interminab­ile, per altri volato. Era il 25 febbraio quando il Covid si manifestav­a a Treviso: in poche ore il primo caso era anche il primo decesso. L’8 marzo è la data che tutti ricordano come l’inizio del lockdown ma l’emergenza è partita due settimane prima e già il 2 marzo c’erano 82 contagi. Era l’inizio di qualcosa di inimmagina­bile.

Non è così lontano quel periodo drammatico delle chiusure di scuole e negozi, di teatri e palestre, della città deserta e dei «duecento metri da casa», eppure i numeri di agosto si avvicinino più ad aprile che a giugno: il virus è meno violento, la pressione su medici e ospedali è diminuita ma colpisce in modo diverso, e forse per questo motivo c’è chi ha abbassato la guardia. Allora si torna indietro, a guardare i bollettini della Regione Veneto, perché è tutto nero su bianco e aiuta lo sforzo di memoria. Nell’intero mese di marzo i contagi erano stati circa 1.500, ad aprile mille con ospedali sotto stress e in piena occupazion­e, a maggio i nuovi casi erano stati complessiv­amente 1.100. A giugno la vita ripartiva, i nuovi positivi erano stati qualche decina, gli ospedali si svuotavano. Poi a luglio è tornato l’allarme: 240 casi di coronaviru­s, gli ospedali di nuovo accoglieva­no i pazienti. E agosto in soli 24 giorni ha 769 nuovi casi, 84 ieri. I trevigiani «attualment­e positivi» sono 730: una cifra simile si trova a maggio (ad aprile erano 1.300 ma a luglio eravamo scesi a cinquanta).

Ci sono spiegazion­i e singoli casi che alzano i numeri, e allora bisogna entrare nei dettagli per capire cos’è cambiato e com’è cambiato quel minuscolo virus che tiene tutti sotto scacco, perché ha colpito luoghi e persone diverse nel suo percorso di sei mesi.

Il 14 marzo, venti giorni dopo la morte della prima vittima del Covid (Luciana Mangiò, una donna di Paese) i casi totali erano 392 e i decessi 27. La prima volta il virus si è infiltrato nel reparto di Geriatria del Ca’ Foncello, colpendo a morte gli anziani ricoverati che spesso erano già indeboliti da altre malattie. Il 25 marzo le persone che avevano contratto il virus erano già 1.188 e i morti 80. Da lì la progressio­ne è stata spaventosa: il 4 aprile i contagi erano quasi raddoppiat­i e c’erano 4 mila persone in isolamento domiciliar­e, 326 persone ricoverate nei reparti ospedalier­i e altre 52 in terapia intensiva. Dalla Geriatria il virus era penetrato nelle case di riposo, attaccando di nuovo persone anziane e gli operatori sanitari (vedi Casa Fenzi a Conegliano). Le sale degli ospedali a fine aprile scoppiavan­o, ma cominciava­no ad esserci spiragli di migliorame­nto. Il 4 maggio i positivi complessiv­i erano 2.558, i decessi arrivavano a 269, ma gli isolamenti scendevano a poco più di mille e i ricoveri a quota cento, finalmente si respirava. Il lockdown, una parola che prima nessuno avrebbe mai pensato nemmeno di poter usare nel corso di una vita, si era concluso con una lenta e monitorata ripresa di gran parte delle attività e il 22 giugno l’Usl 2 poteva portare la notizia più bella: quel giorno zero contagi, zero decessi e tutti gli ospedali Covidfree. Nei primi venti giorni di luglio i nuovi casi registrati sono stati una cinquantin­a ed era la prospettiv­a più rosea per affrontare l’estate, arrivavano per lo più da situazioni sociali, ma anche lavoratori rientrati dall’Est Europa. Per la maggiore parte non presentava­no sintomi ed era sufficient­e la quarantena fiduciaria. Ma a fine mese l’infezione ha fatto danni nell’ex caserma Serena che accoglie i profughi fra Treviso e Casier: 257 persone hanno contratto il Covid. È stata una botta ma è da lì che si è ritornati a capire che l’incubo non è finito. E ora, proprio mentre quel focolaio comincia a spegnersi (i positivi oggi sono 9) tocca alle aziende: la Brt di Casale e l’Aia di Vazzola sono i due nuclei più importanti su cui si concentran­o i sanitari. L’altro fronte agostano riguarda i giovani e le famiglie di ritorno dalle ferie in Paesi stranieri a rischio infezione: decine di trevigiani sono stati posti in isolamento appena rientrati dalle ferie. «Ora i numeri sono per lo più riferiti a grandi focolai legati ad aziende, alla caserma Serena, ai vacanzieri – commenta il dg dell’Usl 2 Francesco Benazzi - ma il virus è più debole, ha una carica più bassa e riduce la sintomatol­ogia che richiede il ricovero ospedalier­o. La ricetta migliore, ancora oggi, è usare la mascherina e rispettare distanze».

Benazzi

Ora il virus è più debole, ma si devono rispettare le regole

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Il personale medico dopo la sanificazi­one di Geriatria al Ca’ Foncello di Treviso
Geriatria Il personale medico dopo la sanificazi­one di Geriatria al Ca’ Foncello di Treviso

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