Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Sogniamo di diventare medici e siamo pronti a rischiare»
PADOVA Oltre tremila ragazzi si sono presentati ieri a Padova per effettuare il test per diventare medici. «Sogniamo questo lavoro e siamo pronti a rischiare».
PADOVA Sarà che in questi mesi ha trionfato l’immagine del supereroe in camice e stetoscopio. Oppure, più prosaicamente, che l’emergenza Covid ha dimostrato a tutti che quello in ospedale è un lavoro sicuro, visto che del personale sanitario non si potrà mai fare a meno. Fatto sta che ieri mattina a Padova è andata in scena la corsa all’oro, la sfida del tutti contro tutti: 3.400 aspiranti dottori (ma 190 non si sono presentati) hanno partecipato al test di ammissione per accaparrarsi uno dei 334 posti disponibili alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova, ai quali vanno aggiunti un’altra sessantina di posti per il corso che avrà sede a Treviso.
Ne passerà solo uno su dieci. Briciole. Eppure sono tanti a crederci: in tempi di coronavirus, i giovani sognano di salvare vite. Lo scorso anno i candidati erano stati «solo» 3.056: in 12 mesi c’è stato un balzo di oltre il 10 per cento.
«Lo so che è difficile conquistare un posto a Medicina, ma so che vale la pena tentare, perché da grande vorrei essere utile agli altri, specie ai bambini», dice Beatrice Fochesato, 19 anni di San Vito di Leguzzano, nel Vicentino. È in fila da ore, immersa in un serpentone che già alle 9 del mattino era lungo centinaia di metri, e che gli uomini della protezione civile faticano a regolamentare.
Chiassosa e colorata, la carica dei futuri universitari è iniziata all’alba, paralizzando la viabilità nelle zone intorno ai padiglioni della Fiera, dove si è tenuto il test. Il distanziamento? Inesistente. E pensare che l’Ateneo ci aveva provato a scaglionare gli arrivi, convocando i candidati in orari diversi, in base all’ordine alfabetico. Ma non c’è stato niente da fare: i medici del futuro hanno preferito arrivare tutti in largo anticipo e mettersi in fila, con la mascherina ma comunque l’uno appiccicato all’altro, in barba alle norme anti-contagio.
«È un enorme assembramento», allarga le braccia un volontario. «Noi ci proviamo a tenerli separati, ma nessuno ci ascolta...». Due carabinieri risalgono a piedi la lunga colonna umana, ripetendo ai ragazzi di stare lontani, che così rischiano di ammalarsi o di contagiare gli altri... «Niente da fare», ammette il maresciallo.
Giunti all’ingresso, i ragazzi vengono accompagnati al loro banco, in uno dei padiglioni messi a disposizione della Fiera. E anche lì, per tutto il tempo della prova, devono tenere indosso la mascherina. «Non è stato facile, però credo sia andata bene» incrocia le dita Samuele Liana, 20 anni di Quarto d’Altino. «Per quanto riguarda le domande di cultura generale, ho azzeccato quella sull’autore del Signore degli anelli ma ho sbagliato a individuare “l’intruso” tra diversi scritti di Freud...». Racconta che fin da bambino ha sempre voluto fare il chirurgo. «In questi mesi ho osservato il lavoro dei medici e mi sono chiesto se sarei stato disposto a correre gli stessi rischi. Alla fine mi sono risposto di sì, che ce la farei a mettere a repentaglio la mia vita pur di assistere i miei pazienti».
La pensa allo stesso modo anche Anna Filippi, 19 anni: «L’emergenza Covid ha rinforzato la mia convinzione: nella vita voglio fare qualcosa per aiutare gli altri».
In mezzo a tutti questi adolescenti, spicca la capigliatura brizzolata di Alberto, un 45enne di Lonigo. Suo figlio è in coda poco più avanti. «Per mesi l’ho aiutato a preparare l’esame d’ammissione. Poi un giorno mia moglie mi ha preso in giro, dicendo che non avrei alcuna chance di superare il test e allora ho deciso di sfidarla: le dimostrerò che posso entrare a Medicina!».
Le code si esauriscono, smettono di protestare anche quelli del Fronte della Gioventù Comunista che chiedono l’abrogazione del numero chiuso, e i ragazzi del sindacato studentesco Udu che denunciano il rincaro della quota da versare per tentare il test, passata dai 30 euro dello scorso anno ai 100 attuali. Fuori restano i genitori. Elena Tonelli è un’operatrice sanitaria dell’ospedale di Thiene e spera che sua figlia diventi medico «perché avrebbe un posto assicurato: in futuro ci sarà sempre bisogno di dottori». E poi ci sono Mohamed Farihi, marocchino trapiantato a Treviso, e sua moglie, coperta dal velo islamico. Noura, la primogenita, sta facendo il test. E lui l’aspetta, con gli occhi lucidi. «Nella mia famiglia mai nessuno è andato all’università: sono orgoglioso di lei».
La vicentina
Lo so che è difficile conquistare un posto a Medicina, ma vale la pena tentare, perché voglio aiutare gli altri
Il veneziano
In questi mesi mi sono chiesto se sarei stato disposto a correre gli stessi rischi. Alla fine mi sono risposto di sì
Il padre marocchino Nella mia famiglia mai nessuno è andato all’università: per questo sono orgoglioso che mia figlia sia qui