Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La Russia di Chagall simboli, infanzia e memoria
A Palazzo Roverella 70 opere dell’artista, ispirate alla sua amata patria, tra realismo magico e nostalgia. Madrina la nipote
«Mi trascino per le vie di Mosca. Né la Russia imperiale né la Russia dei Soviet hanno bisogno di me. Io sono incomprensibile per loro, straniero…». Così scrive Marc Chagall (vero nome Moishe Segal, 1887, Lëzna – 1985 Saint-Paul-de-Vence) poco prima di lasciare definitivamente la sua amata Russia per l’esilio in Germania, Francia, Stati Uniti e quindi tornare per sempre in Francia.
Innegabile che la tradizione culturale, il mondo popolare e il folklore russo siano i principali ingranaggi compositivi di questo artista, universalmente conosciuto per quel sognante realismo magico che ne contraddistingue le opere. Il suo viscerale, intimo e appassionato amore verso la patria caratterizza il punto panoramico d’osservazione, all’interno della sua vasta produzione artistica, scelto per la mostra anche la mia Russia mi amerà, a cura di Claudia Zevi e allestita a Rovigo da oggi fino al 17 ottobre a Palazzo Roverella.
Una settantina di opere che esaudiscono tutto il lavoro pittorico che Chagall ha dedicato alla Russia, attivando il confronto sia con la spiritualità di alcune pregiate icone russe che con l’aspetto più divulgativo dei lubki, le vignette popolari diffuse ai tempi di Chagall, delle quali molto scrisse Gogol, autore caro all’artista. In mostra potremo ammirare alcuni tra i più grandi capolavori di Chagall come Passeggiata, Ebreo in rosso, Il mondo sottosopra, Il matrimonio, Il Gallo o il
Guanto nero.
Capolavori che provengono da Mosca e San Pietroburgo e arrivati a Rovigo grazie all’impegno della Fondazione Cariparo, con la collaborazione della Fondazione Culture Musei e il Museo delle Culture di Lugano. E alla generosità della nipote di Chagall, Meret Meyer, ieri presente al taglio del nastro della mostra che si è scelto di titolare: anche la mia Russia mi amerà, citando integralmente l’ultima frase della biografia dell’artista. Perché non si può prescindere dall’amore di Chagall per la Russia, se si vuole capire fino in fondo la complessità delle sue opere. Chagall trae ispirazione dalle immagini dell’universo ebraico chassidico e dal mondo russo della sua infan
zia. Il chassidismo è una sorta di panteismo: ogni cosa viene santificata, ogni cosa è espressione mistica e conduce alla gioia e all’unione con Dio. A questo spirituale e gioioso afflato interiore vanno annodate le immagini della memoria che arrivano a Chagall dalle leggende della cultura popolare e spirituale russa. Queste, coniugate con il misticismo fantastico della tradizione chassidica cui egli appartenne, caratterizzano e definiscono il suo inimitabile linguaggio artistico, la cifra intellettuale e spirituale della sua opera, la sua esclusiva sintassi espressiva.
Un linguaggio privato fatto di animali fantastici, di mondi sottosopra, di simbologie: persone che volano, angeli, mucche, capre, asini e altri animali. Come il Gallo, archetipo che simboleggia l’alba, l’arditezza e la virilità ma è anche l’animale sacrificale che il rabbino uccide per purificare la comunità. Chagall conserva in sé la memoria di un mondo che non esiste più. Scriverà: «Ho scelto di vivere voltando le spalle al futuro».
Nonostante frequentasse Parigi, l’iconoclastia delle avanguardie dell’inizio del Novecento non lo coinvolse mai completamente.
Chagall non rinunciò all’esigenza utopica, tracciata appunto dalle avanguardie, eppure non ruppe mai la tradizione della forma. Tanto meno tradì quel passato magico e fantastico che abitò per sempre, talvolta tingendolo di nostalgia, il suo poetico mondo interiore.