Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Fabiano: «L’Olanda e la modernità in campo»

Il volume «Ho visto la rivoluzion­e» (Absolutely Free) scritto dal giornalist­a veronese sul mondiale del ‘74

- Matteo Sorio

Le rivoluzion­i appartengo­no a chi le fa ma anche a chi le osserva. «Ricordo la scena di Olanda-Uruguay, io e mio padre davanti al televisore. Fischio d’inizio, palla agli uruguagi e gliene arrivano otto addosso: passaggio a un compagno, allora, e anche questo se ne trova otto alle costole. Al poveraccio non resta che calciare lungo: risultato, ce ne sono otto in fuorigioco. Fu una sensazione precisa, netta: questa è una rivoluzion­e». Era il Mondiale di calcio del ’74. «Il mondiale che grazie all’Olanda di Cruijff segna il passaggio dal calcio statico alla guerra di movimento».

A quel mondiale tedesco Lorenzo Fabiano, giornalist­a del Corriere di Verona e del -Corriere del Veneto, ha dedicato il suo ottavo libro, Ho visto la rivoluzion­e, edito da Absolutely Free con prefazione di Roberto Beccantini. L’occhio è quello sensibile di chi cerca le storie dentro la storia, aprendo la matrioska per vedere cosa ne salta fuori. «Nell’Olanda dell’Arancia Meccanica c’era Jan Jongbloed, il portiere-tabaccaio che al mondiale non voleva andarci perché la sua vera passione era la pesca. Nell’Argentina giocò da protagonis­ta René Houseman, uno che non voleva mai uscire dal suo barrio e nel barrio finì a chiedere l’elemosina morendo di stenti. Nel Brasile invece Francisco Marinho, le donne matte per lui, lui che in campo sapeva solo attaccare mentre fuori dal campo incideva un disco per poi ammalarsi di cirrosi e incollarsi alla bottiglia sino alla fine, per la disperazio­ne degli amici che gli avevano pagato l’operazione».

Raccontava Fabiano, l’altra sera, durante la presentazi­one del libro alla Vecchia Dogana insieme ai giornalist­i Gianluca Tavellin, Ernesto Kieffer ed Enrico Brigi, che «ho finito di scrivere questo racconto di Germania ’74 durante il lockdown: il farlo senza avere contatti col calcio d’oggi, inquinato com’è da business e frenesia, è stato come tornare bambino, una sorta di catarsi». Una catarsi ch’è un balzo indietro di quarantase­i anni. In un calcio che restituiva commenti e pensieri lontanissi­mi dallo stagnante politicame­nte-corretto odierno. Secondo Tavellin, «vinsero i tedeschi anche perché ai tempi c’erano un grande Bayern Monaco e un certo Gerd Müller». Ma il 2 a 1 subìto a Monaco di Baviera, nell’ultimo atto, non intaccò l’epifania olandese. Il vero «perché» è quello che si nasconde dietro una rivoluzion­e tattica che rivelò qualcosa anche di noi.

«Quell’Olanda era un Paese fresco dove i giovani andavano a cercare la libertà. Qui nel ’74 votavamo per il divorzio, roba che per un olandese era come andare a comprarsi le sigarette. Un mondo nuovo contro un mondo vecchio — riflette Fabiano — L’Italia di quel mondiale non capì che era arrivato il rock: su quel palco tedesco, noi, ci mandammo Claudio Villa».

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La storia nel pallone Lorenzo Fabiano presenta il suo libro «Ho visto la rivoluzion­e»

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