Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Flop di Reddito e Quota cento»
Il bilancio delle due misure: «Meglio altri strumenti»
Con 29 mila nuclei familiari percettori (66 mila persone), il Reddito di cittadinanza non decolla in Veneto. Donazzan: «Flop».
VENEZIA Il Reddito di cittadinanza avrebbe dovuto «abolire la povertà», ma la prospettiva non ha sedotto più di tanti veneti. Così come «Quota 100» non è stata travolta da fiumi di richieste di pensionamento. Insomma, le misure sponsorizzate nell’ordine - da Movimento 5 Stelle e Lega non hanno sfondato. E nel momento in cui il governo Conte annuncia un imponente giro di vite (controlli a tappeto sul primo, abolizione della seconda) si tracciano i primi bilanci.
Anzitutto i dati. Tra l’aprile del 2019 e l’agosto 2020 le domande di Reddito di Cittadinanza (e Pensione di Cittadinanza) presentate in Veneto hanno sfiorato quota 77 mila (76.939 per l’esattezza), vale a dire il 3,6% del totale nazionale. Ma solo 42.497 hanno ottenuto il via libera, quasi 30 mila (29.508) sono state respinte e 4.934 sono quelle tuttora in lavorazione. I numeri aggiornati a settembre sono ancora inferiori, perché 6.465 delle richieste approvate risultano già decadute. Per cui, al momento, il Reddito raggiunge non più di 29.024 nuclei familiari, ossia 66.334 individui. Per quanto riguarda l’assegno staccato dall’Inps ogni percettore veneto riceve mediamente 418,92 euro mensili secondo l’Inps, contro una media italiana di 561,93.
«Parliamo pure di un totale fallimento» esclama l’assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan, che non è mai stata tenera con il meccanismo ideato dall’ex ministro del Welfare Luigi Di Maio. A suo avviso il Reddito di cittadinanza non avrebbe neppure contribuito - se non in misura ridotta - a far incontrare l’agognata domanda-offerta di lavoro: «solo» 6.200 persone, infatti, avrebbero ottenuto un contratto, 3.800 devono ancora svolgere il primo appuntamento e 1.500, pur convocate, non si sono neppure presentate agli sportelli. «Quali risultati abbiamo ottenuto? Nessuno, se non dimostrato l’inefficacia e la funzione diseducativa di uno strumento campato per aria». L’assessore
regionale, in particolare, contesta la figura dei «navigator», 142 quelli assegnati al Veneto. «Li abbiamo formati, ma sono pur sempre precari che dovrebbero trovare un lavoro fisso a qualcun altro. Non a caso parte di loro è già sparita, a causa dell’emergenza Covid che ha bloccato tutto». Ma secondo Donazzan il mancato decollo del Reddito dipende anche da altri fattori: «Per formazione culturale - afferma - i veneti non sono portati a chiedere aiuti del genere. Non a caso gran parte dei percettori è costituita da persone disabili o non ricollocabili. L’altro motivo riguarda gli strumenti già messi in campo dalla Regione come l’assegno per il lavoro con relativo accompagnamento, che funziona».
Che qualcosa non abbia quadrato lo ammette anche la Cisl, i cui Caf (i centri di assistenza fiscale) hanno gestito poche centinaia di pratiche al mese. «Numeri irrisori», dice il presidente Lorenzo De Vecchi. «Sarebbe molto più opportuno prevedere un salario minimo garantito, che si può fare tramite l’Isee, strumento che funziona», incalza Claudio Zaccarin, responsabile regionale dei Caf Cgil.
Quanto a «Quota 100» la situazione non si discosta poi molto sebbene, ieri, anche il governatore Luca Zaia abbia contestato l’abrogazione. A giugno 2019 erano state presentate, in Veneto, 10.539 domande di pensionamento. Ma la maggior parte di queste, fa presente Ivan Bernini, segretario della Cgil Funzione Pubblica, riguarda interinali, lavoratori di fasce «basse», operatori di servizi sociosanitari, dipendenti di appaltatori di servizi pubblici, «vale a dire professioni pesanti e dallo scarso ricambio». «Non a caso pochi medici o tecnici di laboratorio, per citare un esempio, hanno aderito». Ma secondo Bernini sarebbe poco impattante rinunciare a questa misura già nata come provvisoria, e che si esaurirà a fine 2021. «L’impatto economico è stato talmente limitato - afferma - che si potrebbe anche mantenere. Quando si parla di previdenza i cittadini esigono garanzie per organizzare il proprio futuro, non riforme continue che spiazzano e disorientano. Dalla Dini alla Fornero ne abbiamo avute almeno quattro o cinque in 25 anni. Troppe».