Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Donadio dava protezione alle ditte edili Così zero furti»
Il «pizzo», quello no, non l’ha mai chiesto. Ma Luciano Donadio, il presunto boss del clan dei casalesi di Eraclea, offriva «protezione» alle imprese edili che venivano a lavorare nel suo territorio («fino a Caorle e Jesolo»). «Il suo obiettivo era accaparrarsi il cliente o usare l’imprenditore per avere fatture inesistenti su cui guadagnare l’Iva - ha spiegato ieri in aula bunker il sandonatese Christian Sgnaolin, per oltre 15 anni suo braccio destro, nel maxi processo in corso - La protezione consisteva nel fatto che nei loro cantieri non veniva rubato nulla, si potevano lasciare anche le chiavi attaccate ai camion. E poi le imprese “protette” prendevano i soldi agli stati di avanzamento lavori».
L’esame di Sgnaolin si è concluso dopo quattro lunghe udienze. L’uomo, che si è pentito ma non ha ancora formalmente chiesto di accedere a un programma di protezione, ha raccontato di come «molte persone ci avevano riferito che eravamo sotto indagine» e dei «trucchi» di Donadio per evitare di essere ascoltato. «Usava un cellulare che chiamava il “muletto”, uno di quelli da 29 euro che non aveva internet, e quando lo chiamavo dicevo una frase in codice e allora mi chiamava da quel numero - ha detto - Si era fatto bonificare l’ufficio due volte e una anche la macchina. In ufficio teneva la radio alta e ha anche cercato di prendere un dispositivo anti-intercettazioni, ma alla fine non l’ha trovato». Sgnaolin ha ribadito di non essersi mai sentito un «casalese a Eraclea». «Invece a Donadio piaceva essere il boss - ha proseguito - usava una mentalità criminale vecchio stampo». Ma ha anche rivelato che se nei primi anni Duemila il gruppo mandava soldi a Casal di Principe, con la crisi del 2006-2007 smise di farlo e allora venne mandato al Nord Raffaele Buonanno. «Disse che era salito per capire che cosa faceva Donadio, perché i soldi non tornavano più a casa». (a. zo.)