Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Vajont, lite sulle aziende aperte nel giorno della memoria
Il sindacato contro due imprese che non rispettano il lutto nell’anniversario della tragedia
LONGARONE Nel giorno del 57° anniversario della tragedia del Vajont, tradizionalmente accompagnato dallo stop delle imprese in segno di lutto, un gruppo non ha fermato la produzione. I sindacati hanno sollevato il caso, l’imprenditore si è difeso: «Non potevo fermarmi».
LONGARONE (BELLUNO) Ogni anno, il 9 ottobre, la vita nella vallata si blocca. Fabbriche, botteghe e negozi chiudono i battenti e Longarone torna immobile come quella notte di 57 anni fa, quando oltre 200mila metri cubi di roccia del monte Toc finirono nel bacino della diga del Vajont, sollevando un’onda che cancellò il paese e quasi duemila vite umane. Come sempre da allora, anche ieri un’ordinanza del sindaco ha disposto lo «stop» di tutte le attività produttive, per dedicare la giornata «alla memoria e alla commemorazione dei cittadini scomparsi» in quella tragedia.
Due aziende del Comune, la Mariposa e la Maricell, 25 e 160 dipendenti, specializzate nella gommaplastica, non hanno chiuso del tutto. Non erano tenute a farlo: c’è una deroga per le produzioni a ciclo continuo e l’azienda dice di aver lasciato liberi i lavoratori. Ma questo non è bastato a fermare la polemica sull’opportunità di non «osservare» il fermo totale degli impianti nel giorno in cui Longarone piange il suo lutto più nero.
Non si tratta di due aziende qualsiasi: entrambe sono state fondate da Lucio Della Mora, noto imprenditore della zona sopravvissuto all’onda di morte del Vajont, che gli ha strappato la famiglia, e scomparso nel 2010. Ora sono gestite dalle figlie di Della Mora e da sua moglie Giacoma Olivier, anche lei sopravvissuta al 9 ottobre 1963.
I primi a puntare il dito sono stati i sindacati: «Anche quest’anno Mariposa e Maricell hanno scelto di mantenere aperte le fabbriche e far lavorare i propri dipendenti nonostante l’invito del Comune e i comunicati inviati dalle organizzazioni sindacali», hanno denunciato in coro Milena Cesca di Femca Cisl, Giampiero Marra di Filctem Cgil e Giorgio Agnoletto di Uiltec. «Tutte le altre aziende con cicli produttivi a carattere continuativo si sono fermate», sostengono ancora. E attaccano: «Una scelta scellerata e irrispettosa».
Ieri l’intera Longarone si trovava alle celebrazioni dove il sindaco Roberto Padrin ha parlato di «una giornata di silenzio e riflessione». «É il giorno in cui - ha spiegato - ripercorriamo la nostra storia, guardiamo agli errori commessi e ci impegniamo a rapportarci col mondo e col prossimo con un’ottica diversa». Sulla chiusura delle attività sospende il giudizio: «L’ordinanza di chiusura è un invito, c’è da sempre, ben prima che diventassi sindaco, e non obbliga nessuno. Ognuno in coscienza decide e non mi sento di giudicare. Ma non vedo un rischio per la memoria».
Alle celebrazioni pubbliche c’era anche Giacoma Olivier, titolare della Maricell: «Abbiamo lasciato liberi i lavoratori - ha sottolineato - come in tutte le feste, anche gli anni scorsi. Abbiamo chiuso gli uffici ma ci sono lavorazioni che non si possono fermare: i turni erano saltati perché c’erano meno di un terzo degli operai. Ma sono venuti su base volontaria, soprattutto i lavoratori stranieri che non sentono propria la ricorrenza. Hanno già i loro problemi e così possono portare a casa qualche soldo in più».
Nessun tentativo di far passare le celebrazioni: «Tutto si può fermare, certo. Ma non parliamo di opportunità: abbiamo la tristezza nel cuore, mi sono morte le cugine e lo zio 57 anni fa. Se abbiamo chiuso quasi tutto e qualcuno su 160 dipendenti va a lavorare non è la fine del mondo».
Per altri, invece, sembra esserlo: «A prescindere dalla deroga, la chiusura di un giorno è cosa assodata - commenta Micaela Coletti del comitato dei sopravvissuti - e non penso che fermarsi per poche ore mandi qualcuno in cassa integrazione». Gino Mazzorana, un altro superstite, teme che si sbiadisca il ricordo collettivo della ferita più profonda di Longarone: «La gente non capisce più il messaggio del 9 ottobre, se non glielo spieghiamo. Noi sopravvissuti non dimentichiamo, ma è un segnale della memoria che si sta perdendo».
Il sopravvissuto «Non penso che fermarsi poche ore mandi qualcuno in cassa integrazione»