Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ma l’export ci salverà ancora?
La pandemia ci ha mostrato che essere bravi a vendere le proprie merci all’estero potrebbe non bastare più
La pandemia ha evidenziato un cambio di scenario per le imprese del Nordest: saper esportare le proprie merci potrebbe non bastare più, servono investimenti diretti all’estero.
Delocalizzazione? Roba vecchia. Internazionalizzazione? Sì, ma non come l’abbiamo conosciuta finora. Globalizzazione? Dopo la pandemia (ammesso che siamo nel dopo) chi lo sa... Nell’incertezza delle definizioni, cominciamo a prendere confidenza con un’altra parola: localizzazione. Che non vuol dire tornare al punto di partenza ma anzi, al contrario, significa essere locali, cioè basati dove serve al nostro business: a Boston, in
Cina o in Germania.
La nuova frontiera è questa: non più semplici fornitori di prodotti o servizi esportati oltre confine, come il Nordest è stato - con sua notevole soddisfazione, per altro – negli ultimi decenni, ma veri e propri partner delle aziende multinazionali, collocati là dove loro sono collocate. Detto con altre parole: la pandemia globale ha portato in evidenza l’urgenza di un cambio di passo, cioè l’importanza strategica degli investimenti diretti all’estero. Nel nuovo mondo economico disegnato dal virus, essere grandi esportatori
– e le aziende manifatturiere del Triveneto lo sono, per lunga vocazione – potrebbe non bastare per risalire la china. Servono investimenti e piani d’azione per posizionarsi strategicamente accanto ai propri partner internazionali.
Di questo tema attualissimo si occupa il primo piano di Corriere Imprese Nordest, in edicola domani all’interno del Corriere della Sera. Come sempre, gli esempi pratici spiegano il nuovo scenario meglio di tante parole. Ecco Stevanato, multinazionale familiare con testa e cuore a Piombino Dese, nell’Alta Padovana, ma stabilimenti (14) in 9 Paesi del globo, da dove escono flaconi in vetro e plastica destinati alle maggiori industrie farmaceutiche: «Negli Usa o in Cina noi dobbiamo esserci – ha spiegato l’Ad,
Franco Stevanato – con tutta la nostra catena del valore, perché dobbiamo stare dove operano i colossi mondiali della farmaceutica e delle biotecnologie. La vicinanza fisica genera economie di scala, rapidità negli approvvigionamenti e certezza delle scorte». Altro settore, altra storia concettualmente molto simile: è quella di Mavis, gruppo di Rosà (Vicenza) attivo nella produzione di molle e componenti per l’industria dell’automobile e degli elettrodomestici. Spiega il presidente e Ad, Federico Visentin: «Puntiamo a un’acquisizione negli Usa e a rafforzare la nostra presenza in Cina e nell’Est europeo. Per motivi logistici, di costi, di efficienza, è indispensabile posizionarsi a ridosso dei grandi committenti».
Se ancora non vi foste convinti, ecco Bruno Vianello di Texa, azienda trevigiana leader delle apparecchiature per la diagnostica nell’automotive, che ha appena inaugurato la nuova filiale tedesca, triplicando gli spazi: «La Germania, nostro primo mercato, necessita di cure speciali. E i nostri tecnici lavoreranno fianco a fianco con i centri di ricerca delle grandi case automobilistiche». Per finire con Leitner, il colosso sudtirolese degli impianti a fune, che sta per inaugurare un nuovo stabilimento produttivo in Slovacchia, giudicato strategico per essere più vicini a mercati dal grande potenziale, e poi aprirà un nuovo centro servizi a Oslo, capitale della Norvegia.
Le avanguardie nel Nordest sono già in movimento.