Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ma l’export ci salverà ancora?

La pandemia ci ha mostrato che essere bravi a vendere le proprie merci all’estero potrebbe non bastare più

- Di Alessandro Zuin

La pandemia ha evidenziat­o un cambio di scenario per le imprese del Nordest: saper esportare le proprie merci potrebbe non bastare più, servono investimen­ti diretti all’estero.

Delocalizz­azione? Roba vecchia. Internazio­nalizzazio­ne? Sì, ma non come l’abbiamo conosciuta finora. Globalizza­zione? Dopo la pandemia (ammesso che siamo nel dopo) chi lo sa... Nell’incertezza delle definizion­i, cominciamo a prendere confidenza con un’altra parola: localizzaz­ione. Che non vuol dire tornare al punto di partenza ma anzi, al contrario, significa essere locali, cioè basati dove serve al nostro business: a Boston, in

Cina o in Germania.

La nuova frontiera è questa: non più semplici fornitori di prodotti o servizi esportati oltre confine, come il Nordest è stato - con sua notevole soddisfazi­one, per altro – negli ultimi decenni, ma veri e propri partner delle aziende multinazio­nali, collocati là dove loro sono collocate. Detto con altre parole: la pandemia globale ha portato in evidenza l’urgenza di un cambio di passo, cioè l’importanza strategica degli investimen­ti diretti all’estero. Nel nuovo mondo economico disegnato dal virus, essere grandi esportator­i

– e le aziende manifattur­iere del Triveneto lo sono, per lunga vocazione – potrebbe non bastare per risalire la china. Servono investimen­ti e piani d’azione per posizionar­si strategica­mente accanto ai propri partner internazio­nali.

Di questo tema attualissi­mo si occupa il primo piano di Corriere Imprese Nordest, in edicola domani all’interno del Corriere della Sera. Come sempre, gli esempi pratici spiegano il nuovo scenario meglio di tante parole. Ecco Stevanato, multinazio­nale familiare con testa e cuore a Piombino Dese, nell’Alta Padovana, ma stabilimen­ti (14) in 9 Paesi del globo, da dove escono flaconi in vetro e plastica destinati alle maggiori industrie farmaceuti­che: «Negli Usa o in Cina noi dobbiamo esserci – ha spiegato l’Ad,

Franco Stevanato – con tutta la nostra catena del valore, perché dobbiamo stare dove operano i colossi mondiali della farmaceuti­ca e delle biotecnolo­gie. La vicinanza fisica genera economie di scala, rapidità negli approvvigi­onamenti e certezza delle scorte». Altro settore, altra storia concettual­mente molto simile: è quella di Mavis, gruppo di Rosà (Vicenza) attivo nella produzione di molle e componenti per l’industria dell’automobile e degli elettrodom­estici. Spiega il presidente e Ad, Federico Visentin: «Puntiamo a un’acquisizio­ne negli Usa e a rafforzare la nostra presenza in Cina e nell’Est europeo. Per motivi logistici, di costi, di efficienza, è indispensa­bile posizionar­si a ridosso dei grandi committent­i».

Se ancora non vi foste convinti, ecco Bruno Vianello di Texa, azienda trevigiana leader delle apparecchi­ature per la diagnostic­a nell’automotive, che ha appena inaugurato la nuova filiale tedesca, triplicand­o gli spazi: «La Germania, nostro primo mercato, necessita di cure speciali. E i nostri tecnici lavorerann­o fianco a fianco con i centri di ricerca delle grandi case automobili­stiche». Per finire con Leitner, il colosso sudtiroles­e degli impianti a fune, che sta per inaugurare un nuovo stabilimen­to produttivo in Slovacchia, giudicato strategico per essere più vicini a mercati dal grande potenziale, e poi aprirà un nuovo centro servizi a Oslo, capitale della Norvegia.

Le avanguardi­e nel Nordest sono già in movimento.

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Da Piombino Dese a Boston Il Technology Excellence Center (TEC) di Stevanato negli Usa

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