Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Stuprò la figliolett­a, sconterà a 8 anni

Treviso, l’uomo si filmava e diffondeva i video nel dark web. Incastrato dalla polizia

- Alberto Zorzi

TREVISO è stato condannato a 8 anni e 4 mesi di reclusione il papà trevigiano che, ripetutame­nte, ha violentato la figlia piccola, filmandosi e divulgando i video nel «dark web». L’accusa era di violenza sessuale aggravata, produzione e detenzione di materiale pedopornog­rafico. L’uomo, che ha parzialmen­te ammesso le proprie colpe, era stato incastrato dalla polizia australian­a, che stava conducendo indagini, incappata nella rete internazio­nale di pedofili.

MESTRE «Ho iniziato ad avere problemi di liquidità nel 1998/1999, perché un’impresa non mi aveva pagato e la banca mi aveva abbandonat­o. Luciano Donadio lo conoscevo già perché mi forniva dei piastrelli­sti e mi disse che c’era un tal Antonio Buonanno di Casal di Principe che mi poteva prestare dei soldi. Mi disse “sappi che lui non scherza e devi dargli il 10 per cento mensile”». È così che Giorgio Minelle, imprendito­re padovano titolare della «Boutique della piastrella», è entrato nelle «grinfie» del clan dei casalesi di Eraclea. E ne è uscito solo grazie anche a 36 mila euro – gli ultimi per gli «strozzini» – che gli diede il figlio. Lo ha raccontato ieri in aula bunker a Mestre, dov’è in corso il processo a 46 imputati a vario titolo di aver fatto parte della «banda Donadio». Minelle, peraltro, ha già patteggiat­o una pena di due anni perché da vittima si era poi trasformat­o in complice del clan, indirizzan­do a Donadio un amico che doveva riscuotere un credito di 100 mila euro.

«Sono andato a Casal di Principe da Buonanno, è venuto un suo parente a prendermi fuori dall’autostrada ha proseguito l’imprendito­re - Lui mi ha dato 75 milioni di lire in contanti, io gli assegni a garanzia. Poi ogni mese pagavo a suo fratello Raffaele gli interessi del 10 per cento». Sia Antonio che Raffaele Buonanno sono imputati nel processo. Ma non è finita qui, perché dopo il fallimento della Boutique nel 2001 e dopo che gli ci volle un anno e mezzo per estinguere il debito, Minelle restò legato a doppio filo con il presunto boss. Intanto perché, quando nel 2003 aprì una nuova società quasi omonima, per un anno Donadio fu l’amministra­tore («poi la banca Antonvenet­a ci tolse il fido perché non c’era più lui a fare da garante», ha osservato amaro); poi perché aveva accettato di entrare in un giro di false fatture, su cui il boss intascava l’Iva. Nel 2010, comunque, Minelle entra ancora in difficoltà e questa volta il prestito è di 140 mila euro in tre tranche, con un tasso del 7 per cento. «Ho finito di pagare i debiti con Antonio Buonanno nel 2013, grazie al prestito di mio figlio - ha raccontato - Li ho portati io direttamen­te a Casal di Principe e lui mi ha offerto la pizza perché era appena stato scarcerato». Con Donadio invece aveva un conto di 60 mila euro, chiuso nel 2014 con un’operazione – il finto acquisto in leasing di un mezzo – che gli è costata una condanna a un anno e 4 mesi per bancarotta a Padova. Quando al fatto per cui ha patteggiat­o, ha ammesso di aver presentato Donadio all’amico imprendito­re Vittorio Orietti per il suo credito e che poi quest’ultimo era andato dal debitore con uno degli uomini del clan, Girolamo Arena, che l’aveva minacciato («siamo i casalesi») e si sarebbe dovuto tenere la metà.

Il nipote di Donadio, Giacomo Fabozzi, in un dialetto napoletano spesso strettissi­mo («sembra di essere in un film di Troisi», è sbottato a un certo punto l’avvocato Rodolfo Marigonda), ha invece raccontato dei rapporti tra il boss e Fabio Gaiatto, il finto broker di Portogruar­o condannato a 10 anni per aver truffato 3 mila clienti. Tra questi Samuele Faè, faccendier­e (e anche lui imputato nel processo) che gli avrebbe affidato quasi 10 milioni di euro e che «con mio zio aveva quasi un rapporto tra padre e figlio». «Abbiamo incontrato più volte Gaiatto, ma lui diceva che stava facendo altre operazioni e non aveva liquidità», ha spiegato Fabozzi. Poi un giorno si presentano al punto Snai di Eraclea, di proprietà di Donadio, tre napoletani dicendo che erano casalesi e li mandava il boss Salvatore Iovine per dire che i 10 milioni di Gaiatto sarebbero stati loro. «Al che mio zio gli ha detto che lui Salvatore lo conosceva da quando erano bambini e ci avrebbe parlato - ha proseguito - Così siamo andati a Ostia e quando Iovine ha visto mio zio gli ha detto “ciao Lucia’, da quanto tempo non ci vediamo”. All’inizio disse che erano uomini suoi, poi quando mio zio fece i nomi disse che si sarebbe informato. Per me c’era qualcosa di strano». Alla fine ci sarebbe dovuto essere un accordo per fare fifty-fifty, ma Donadio venne a sapere che i napoletani qualche soldo l’avevano incassato dal broker. «Si arrabbiò», ha detto Fabozzi. Poi Gaiatto, nel settembre 2018, fu arrestato.

 ??  ??
 ??  ?? Vicine Un gregge di pecore strette le une alle altre, sorprese dalle copiose nevicate dei giorni scorsi sulle Dolomiti
Vicine Un gregge di pecore strette le une alle altre, sorprese dalle copiose nevicate dei giorni scorsi sulle Dolomiti

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy