Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’identikit della fotografia secondo Curti
Il nuovo volume di Denis Curti è un racconto che parte dalle origini per proiettarsi sulle nuove tecnologie Oggi l’incontro alla Casa dei Tre Oci
Verrebbe d’istinto da equipararlo ad una piccola Bibbia della fotografia, ma ovviamente niente è comparabile alla Bibbia, e poi absit iniuria verbis. Ma questo libro fresco fresco - Capire la fotografia contemporanea, scritto da Denis Curti e pubblicato da Marsilio - non è un manuale, non è una guida, non è affabulazione ma casomai tutto questo assieme. È soprattutto insegnamento, del passato, del presente e un po’ anche del futuro: ad usum di chi una macchina fotografica la adopera, ma anche del mondo che sempre più negli anni recenti, «scopre» la fotografia. E non si parla dei miliardi di detentori di cellulari che producono immagini, e credono siano fotografie. Avere carta e penna non fa di uno scrivente uno scrittore, ricorda Denis Curti, e dio solo sa se c’è bisogno di ripeterlo spesso, sia per la scrittura che per la fotografia. Denis Curti mette molto della sua esperienza – diciamo pure di sé – dentro queste pagine: ma può permetterselo, anzi «deve» farlo perché attraverso di lui passa una bella fetta della fotografia, d’Italia e del mondo, di questi ultimi quarant’anni. L’elenco sarebbe lungo: esperienze di lavoro (Contrasto), organizzazione di mostre (una lista lunga così), la direzione artistica di fondazioni e festival fotografici, e anche attività di produzione e marketing, la collaborazione con le case d’aste, le consulenze e naturalmente vari libri. Insomma una vita nella fotografia, il cui vestito buono è quello di critico, che accompagna l’attività operativa. Insomma, una specie di «guru» per il mondo dell’immagine, ma con i piedi ben piantati per terra, in cui l’esegesi e il dibattito culturale vanno di pari passo con il pragmatismo.
L’excursus storico, dagli inizi ottocenteschi ad oggi, si porta dietro domande fondapigotto: mentali, soprattutto «che cos’è la fotografia?». E succede che le risposte siano cambiate nel tempo, magari seguendo l’evoluzione tecnologica che consente di fotografare. Ma in fondo il problema non cambia: ci sono un essere umano, un mezzo tecnico, qualcosa da ritrarre. E modi infiniti, perché individuali e mutabili sono i motivi, gli scopi, le percezioni e – diciamolo – le capacità. Basta ascoltare qualche vero fotografo, ed ecco la varietà di risposte. Per Franco Fontana: «Bisogna fotografare quello che si pensa, non quello che si vede. Si scatta con la mente, non con le dita». E Luca Cam«Per me la fotografia è soprattutto arte della fuga». Ma per Mimmo Jodice era ricerca, quasi maniacale, e lo scatto l’ultimo atto. Ma insomma è bello pensare che, anche quando è un lavoro, si fotografi per amore e per piacere, perché di mezzo c’è sempre il «sentire», fosse anche un oggetto per un catalogo. Dalle carte d’identità dei grandi maestri, che Denis Curti allinea in una sua galleria molto classica, emergono differenze e tratti peculiari, tutto quello che caratterizza lo stile, unico e personale per ciascuno, e finemente indagato dal critico. Adesso sappiamo anche perché il tal fotografo ha fotografato così.
Da questa analisi il critico Curti desume le cinque regole per chi «vuole continuare l’esperienza dei grandi fotografi». Le copiamo: 1) la fotografia non è mai neutrale, 2) se non hai una storia da raccontare non hai niente, 3) se hai una storia, devi saperla raccontare decidendo il tuo punto di vista, 4) raccontare per immagini significa accettare la sospensione dell’incredulità, 5) rinuncia alla singola fotografia buona a favore di una sequenza narrativa. Sono consigli? Comandamenti? Di sicuro sono un formidabile stimolo di discussione, i pro e i contro si sprecheranno su ogni singolo punto, e questo è un bene per la salute della fotografia.
Altri consigli sono più pragmatici: quelli sul collezionismo, sia da parte di chi acquista che di chi si offre; quelli sulla formazione, sui festival, fino ad un lucido capitolo sulla fotografia nell’era del digitale. Tutto utilissimo in questa «piccola Bibbia». Ma più di altre noi ci portiamo dietro quattro parole sulla fotografia pronunciate dallo psichiatra Fausto Manara: «Il dubbio della bellezza».