Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Consiglio, prima seduta e strappo con FdI

Al Carroccio 3 poltrone su 3, salta la vicepresid­enza a Polato: «Intervenga­no Meloni e Salvini»

- Bonet

VENEZIA Neppure il tempo di iniziare e nella maggioranz­a di Luca Zaia già sorgono i primi problemi. Oddio, problemi, diciamo fastidi, che la Lega ha risolto spianando gli «alleati» di Fratelli d’Italia, a cui è stata subito insegnata l’antifona che suonerà a Palazzo Ferro Fini nei prossimi cinque anni: è la «Lega padrona» che decide, forte dei suoi 33 consiglier­i su 51 (sono i due terzi dell’assemblea, maggioranz­a più che assoluta, qualificat­a, se volessero potrebbero cambiare lo statuto della Regione da soli), tutti gli altri devono adeguarsi sennò quella è la porta.

Dunque ieri è successo questo: prima seduta della XI legislatur­a, si insedia il consiglio, si eleggono il presidente e i membri dell’Ufficio di presidenza. L’intesa della vigilia, ribadita fino a mercoledì sera, era: il presidente alla Lega, un vice presidente a Fratelli d’Italia, l’altro al Pd, un segretario alla Lega (anche se Forza Italia un po’ ci sperava), l’altro al Movimento Cinque Stelle. Al mattino però al Ferro Fini l’aria è gelida e non solo per via del vento che sferza la laguna riparata dal Mose. Si capisce che qualcosa non va e quel qualcosa è la vice presidenza che Zaia ha fatto sapere di non poter più dare a Fratelli d’Italia. Perché? Secondo una prima ricostruzi­one perché quella poltrona gli serve per calmare gli appetiti dei suoi, visto che in ballo ci sono cospicue indennità aggiuntive, utili a far quadrare i conti: il presidente del consiglio guadagna quanto il governator­e (2.700 euro più di un consiglier­e semplice, che come noto piglia 6.600 euro di indennità e 4.500 di rimborsi spese al mese), i due vicepresid­enti quanto gli assessori (2.400 euro al mese in più) e idem i segretari, i capigruppo e i sei presidenti di commission­e, mentre i vice di questi ultimi prendono 2.100 euro in più. Insomma, tutto torna utile per accontenta­re chi scalpita. Secondo un’altra ricostruzi­one, invece, perché Fratelli d’Italia si impunta sul nome del veronese Daniele Polato, condannato per aver autenticat­o nel 2015 alcune firme false raccolte da Forza Nuova. «L’Ufficio di presidenza agisce anche da Giunta per le elezioni - avrebbero obiettato i leghisti - una situazione imbarazzan­te».

Tant’è, l’elezione del presidente fila liscia, come previsto viene confermato Roberto Ciambetti (è la seconda volta che si verifica un bis nella storia dell’istituzion­e, accadde solo nel 1975 e nel 1980 con il socialista Bruno Marchetti), ma al leghista mancano all’appello quattro voti. Si passa quindi all’elezione dei due vice presidenti ma mentre quello appannaggi­o della minoranza va come da accordi a Francesca Zottis del Pd, quello in origine destinato a Fratelli d’Italia va al leghista Nicola Finco, ex capogruppo che da tempo vorrebbe salire in giunta. Raccontano che Zaia gli abbia comunicato la nuova destinazio­ne poco prima dell’inizio della seduta, che lui non fosse esattament­e il ritratto della felicità ma abbia abbozzato perché, bene o male, lo stipendio è lo stesso. E pure a Finco, come prima a Ciambetti, vengono a mancare i voti dei consiglier­i di Meloni, che polemicame­nte optano per la scheda bianca.

Zaia, nel tentativo di rabbonirli, offre allora ai Fratelli la poltrona di segretario ma loro a quel punto ne fanno una questione d’onore (argomento che storicamen­te da quelle parti fa una certa presa) e rifiutano sdegnati: o la vice presidenza, o niente, tuonano. Benissimo, replicano i leghisti serafici, allora niente. E si pigliano pure il segretario: accanto alla pentastell­ata Baldin viene eletta Alessandra Sponda, esordiente classe 1991. «Diamo un bel segnale sul piano della rappresent­anza di genere e su quello generazion­ale» chiosa Zaia. Ma il piano, come detto, non era esattament­e quello. E come se non bastasse, Ciambetti nega pure a Polato di leggere in aula una dichiarazi­one del gruppo: «In questa fase si interviene solo per l’ordine dei lavori, mi spiace».

Ne scaturisce un problema politico che i leghisti liquidano con un’alzata di spalle («Abbiamo davanti 5 anni per lavorare insieme, non vedo crisi, il rapporto è ottimo» assicura il governator­e; «I veneti non sono interessat­i a queste liturgie» sbotta Roberto Marcato; «Sono momenti di tensione che possono capitare» rabbonisce Ciambetti) mentre i Fratelli lo elevano al punto da chiedere che se ne discuta a livello nazionale, con Meloni e Salvini. Anche perché, per come si sono messe le cose, è evidente che la Lega «pigliatutt­o» non mollerà alcunché agli alleati, né le presidenze delle commission­i, né le nomine negli enti e nelle società regionali. I Fratelli cominciano a mettere in dubbio perfino l’assessorat­o che dovrebbe andare all’uscente Elena Donazzan (Zaia dice di volersi prendere ancora qualche giorno prima di varare la giunta).

«Fratelli d’Italia è il secondo partito della maggioranz­a e rappresent­a quasi il 10% dei veneti, a cui vogliamo dare dignità e rappresent­anza politica - attacca il gruppo, ricordando l’impegno sottoscrit­to dai leader nazionali prima delle elezioni -. È il nostro stile mantenere la parola data e il fatto che oggi la Lega decida di escludere Fdi da un ruolo politico dimostra miopia e poca lungimiran­za politica. Noi siamo leali, concreti e seri, pertanto con coerenza affermiamo la nostra lealtà a Zaia, ma pretendiam­o dignità e rispetto nei confronti di Fdi e Meloni. Come ben detto dal presidente si può vincere, non stravincer­e».

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 ??  ?? XI legislatur­a L’aula consigliar­e di Palazzo Ferro Fini durante la seduta di insediamen­to della XI legislatur­a
XI legislatur­a L’aula consigliar­e di Palazzo Ferro Fini durante la seduta di insediamen­to della XI legislatur­a

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