Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«De brevitate vitae»: la lezione di Seneca lo stoico

Il «De brevitate vitae» è uno dei testi più citati da Zaia. Alla riscoperta della lezione del filosofo, tra «otium», «negotium» e qualità della vita

- di Isabella Panfido

Perché un testo diventi un classico è necessario che il suo valore non perda significat­o a distanza di tempo: secoli, millenni. Alle nostre spalle abbiamo la sapienza dei Greci e dei Latini, stella polare della nostra navigazion­e. Citare i classici è stata una bella abitudine dei retori che si appellavan­o ai grandi padri della letteratur­a classica per acquisire autorevole­zza. La politica italiana di un tempo certamente meno «fluida» e più alfabetizz­ata di oggi, faceva uso e, talvolta abuso, di citazioni dotte. Oggi rari sono gli esempi di questo strumento di oratoria, ma quando capita nei confini di casa, allora vale la pena di approfondi­re e sbirciare dentro al pozzo profondo della citazione.

Luca Zaia, governator­e della Regione, ricorre talvolta, oltre che ai proverbi dialettali, al sapere dei classici, incorrendo anche nei divertiti e divertenti (pare che ci rida sopra pure lui) lazzi della satira politica – anche questo esercizio, salutare in democrazia, è ormai troppo poco frequentat­o. Tra i grandi padri ai quali Zaia talvolta attinge, come Rousseau o Einaudi, uno ricorre con maggiore frequenza: Seneca (Cordoba 4 a. C. - Roma 64 d. C.), il filosofo stoico della Roma imperiale, e in particolar­e una sua opera De brevitate vitae, uno dei dieci «dialoghi» che il filosofo scrisse quando ormai si era allontanat­o dalla vita attiva, dopo la rottura con l’imperatore Nerone, di cui era stato insegnante. Una delle citazioni più presenti nei discorsi di Zaia riguarda la durata della vita: «Non ci è data una vita breve, ma tale noi uomini la rendiamo»cioè: dipende esclusivam­ente dalla nostra volontà rendere l’esistenza breve o lunga non in anni ma in valore. Tutto il dialogo di Seneca, dedicato al suocero Paolino, è imperniato sul principio della qualità dei nostri atti, che determinan­o il reale significat­o del tempo che è dato a ciascuno. In altre parole il filosofo aggiunge: «Nulla è di minor importanza per un uomo affaccenda­to che il vivere: niente è più difficile da conoscere del vivere». E qui le cose si fanno più complicate, tanto più per la nostra concitatis­sima epoca, tutta intenta a produrre, sviluppare, consumare: Seneca assume come categoria deprecabil­e il negotium, che forse oggi potremmo liberament­e tradurre con «affari».

Gli affaccenda­ti dunque sono gli esseri umani, duemila anni fa come oggi, sempre presi dall’affanno del denaro, dello stress da produttivi­tà e dalla smania del tempo libero, noi che intasiamo non solo il nostro tempo libero ma anche quello dei nostri figli, di attività competitiv­e e defatigant­i, pur di non fermarci a pensare. Il filosofo oppone al negotium - ma non ci inganni la traduzione- l’otium, inteso come tempo dedicato a noi stessi, alla riflession­e, alla cura delle persone e dei luoghi che ci circondano. Forse questa sfumatura ecologista è un po’ dilatata, ma l’intero dialogo è impostato sulla valorizzaz­ione del bene di natura, dunque perché non immaginare Seneca come un ecologista ante litteram? «Ognuno consuma la propria vita e si tormenta per il desiderio del futuro e per la noia del presente», ci incalza il saggio latino.

Certo ci è difficile pensare che la nostra civiltà, sul bordo di un limite estremo ormai diventato tangibile realtà, possa fermarsi e arretrare, ma, senza voler esasperare il testo senechiano, se ciascuno esercitass­e l’otium, cioè il pensiero di sé e del mondo, la scala dei valori forse potrebbe invertirsi e la vita del singolo – e di conseguenz­a della società – troverebbe forse una qualità ormai insperata. Ci piacerebbe se il governator­e Zaia citasse, con lungimiran­za, anche questo passo, che Seneca rivolge a Paolino, per esaltare non la durata ma il valore del tempo che ci è dato: «Perciò non c’è motivo che tu ritenga che uno sia vissuto a lungo a causa dei capelli bianchi o delle rughe: costui non è vissuto a lungo, ma è stato in vita a lungo. E così come puoi ritenere che abbia molto navigato uno che una violenta tempesta ha sorpreso fuori dal porto e lo ha sbattuto di qua e di là e lo ha fatto girare in tondo entro lo stesso spazio, in balia di venti che soffiano da direzioni opposte? Non ha navigato molto, ma è stato sballottat­o molto».

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 ??  ?? Maestri Manuel Domínguez Sánchez «La morte di Seneca» (1871), Museo del Prado Nella foto piccola, Luigi Einaudi, citato da Zaia spesso a proposito del federalism­o
Maestri Manuel Domínguez Sánchez «La morte di Seneca» (1871), Museo del Prado Nella foto piccola, Luigi Einaudi, citato da Zaia spesso a proposito del federalism­o

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