Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La visione va fatta in sala I ragazzi mi chiedono i selfie e mi ringraziano perché con le schede imparano la storia
Èun figlio che nasce ogni due anni. Il più vecchio, quasi smilzo, un solo, preziosissimo volume, ha da poco compiuto trent’anni. Il più giovane, tre volumi con cofanetto per un totale di 9.920 pagine, sempre e solo rigorosamente di carta, 35mila schede, è da qualche giorno in libreria. Addosso ancora quel profumo di nuovo, Il dizionario dei film (Baldini+Castoldi, 70 euro), del critico del Corriere della Sera Paolo Mereghetti, Il Mereghetti,
come si usa da sempre per i dizionari, è un oggetto di culto, capace di monopolizzare serate alla ricerca di quante stelle ha quel film che ci era piaciuto tanto e non arriva a tre (c’è anche il mezzo) o di attirarci mentre dovremmo fare tutt’altro, alla scoperta dei primi film dei nostri registi preferiti, i riassunti delle saghe, i film mai sentiti che ci chiamano come una sirena. Nell’edizione del trentennale, Mereghetti e la sua squadra - dodici persone che ogni due anni per alcuni mesi vivono una realtà distopica fatta solo di visioni,
«È cambiato tutto. E anche l’ambizione di questo dizionario è cambiata e cresciuta. Trent’anni fa voleva essere semplicemente una guida all’invasione dei film che uscivano sulle tv private. Poi pian piano ha avuto successo, non solo perché si è sempre ingigantito, ma perché a guidarmi è stato l’amore per la storia del cinema. Sappiamo benissimo che Kurosawa ha fatto I sette samurai e Rashomon. E poi? Abbiamo cercato di realizzare un’opera che ormai ha superato i confini che s’era posta».
Ha senso, visto che il cinema è così in sofferenza?
«Quello che spero è che questo sia un compagno per entrare all’interno della storia del cinema fin dai suoi albori. Ci sono tutti i corti di Chaplin, abbiamo aggiunto tutti quelli di Max Linder. Vuole essere
«Intanto non sono così sicuro che su Internet ci sia tutto. Le informazioni sono approssimative. E poi i ragazzi mi fermano per chiedermi i selfie, ahimè, ma anche per ringraziarmi di aver imparato tanto dal dizionario. Certo, finora è sempre stato di carta, perché la carta ti fa nascere tante curiosità. Per le prossime edizioni dovremo pensare a qualcosa di diverso. Abbiamo seguito mano nella mano i cambiamenti che ci sono stati in questi trent’anni. La nostra bussola è sempre stata la qualità cinematografica. Probabilmente bisognerà ripensare al rapporto tra streaming e sala, anche se resto convinto che i film vadano visti in sala, almeno quelli importanti. Non ho neanche paura del confronto con l’online: lì il discorso critico per capire valore e disvalore di un’opera non c’è».
È uno strumento solo per critici?
«Certo che no. Spero che il mio lavoro si rivolga soprattutto al pubblico curioso che vuole un po’ di informazioni in più. All’inizio i riassunti avevano quattro righe, ora sono certosini. Sfido a trovare la
«Otello»
Orson Welles, 1952. Il regista nei panni del Moro, Gran Premio per il miglior film a Cannes
«La Venexiana»
Mauro Bolognini, 1986. Con Laura Antonelli, Monica Guerritore, da un anonimo del ‘500
«Spiderman - Far from home»
Jon Watts, 2019 Tom Holland tra le calli e in equilibrio sul Ponte di Rialto
«Promossi: Senso di Luchino Visconti, Otello di Orson Welles e Pane e tulipani di Silvio Soldini. Riserva, e stupirò qualcuno, La Chiave di Tinto Brass, che non era male. Bocciati: Spiderman - Far from home, La venexiana di Mauro Bolognini, Yuppi du di Adriano Celentano, che è veramente brutto. E come riserva Cappello a cilindro con Fred Astaire, dove a un certo punto si vede una gondola e qualcuno sole mio. Una scena che fa accapponare la pelle».
O