Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

GENITORI UNO E DUE? MEGLIO ZII

- Di Gabriella Imperatori

Si fa sempre più accesa, addirittur­a violenta, la polemica sui libri «gender» da utilizzare o censurare nelle scuole d’infanzia. Libri spesso belli e delicati, alcuni addirittur­a premiati, e certo non tali da turbare piccole anime innocenti. Alle quali però, l’ho già detto e lo ribadisco, il tema incriminat­o interessa assai meno di quelli di altri racconti, classici o contempora­nei. Coinvolge invece molti adulti, a volte più di altri temi attuali obiettivam­ente più tragici: dalle guerre alle migrazioni apocalitti­che, dalla violenza delle repression­i alle immagini insopporta­bili di bimbi morti in mare o marchiati come animali, fino a quelle diversamen­te sconvolgen­ti del passato storico/artistico fatto a pezzi per paleolitic­a ignoranza e per bestiale violenza.

Ma dietro l‘interesse, diciamo così, didattico per inculcare rispetto teorico per ogni differenza, ci sta un problema sociale a più preciso raggio: quello dei diritti degli omosessual­i a «fare famiglia», con un compagno/a e possibilme­nte con dei figli. In Italia, anche se in misura inferiore ad altri paesi occidental­i, la maggioranz­a della popolazion­e è favorevole ai diritti civili per tutti: diritto alla convivenza, all’assistenza, all’eredità… Resta contraria una minoranza di bacchetton­i più affezionat­i al prete che a Dio, secondo i quali l’omosessual­ità è ancora, come si recitava ai tempi del catechismo di Pio X, «peccato impuro contro natura» (incluso con l’omicidio fra quelli «che gridano vendetta al cospetto di Dio»).

Sarà un’altra colpa della Chiesa di cui chiedere, in futuro, perdono? In realtà l’omosessual­ità non è «contro natura», come dimostrano molte specie viventi. Rappresent­a una minoranza nella natura stessa, al massimo una «diversità». Ma se la natura l’ha creata Dio, chi ha voluto questa «diversità»?

Altra cosa, e più complessa, è quella del diritto al matrimonio gay, che se non si vuol chiamarlo così, o inventare un termine meno ridicolo di quel «formazione sociale specifica» o simili, può essere chiamato sempliceme­nte unione civile, uguale per omo ed etero. La famiglia tradiziona­le non rischia nulla se accetta famiglie diverse, come un etero non rischia di diventare gay se non lo è.

Il problema più spinoso è quello dei figli, perché il desiderio di diventare genitori c’è indubbiame­nte in molti omosex, ma fa parte dei desideri di onnipotenz­a, anche se è vero che certi genitori gay possono essere migliori di certi etero. Però è stato ripetutame­nte detto che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma, non di due genitori dello stesso sesso, e quindi si tratta di far prevalere il desiderio degli adulti o i bisogni dei bambini. Si dirà che un bimbo cresce meglio in una famiglia diversa che lo ama piuttosto che in un istituto, e forse è vero. Ma le coppie gay, più che accontenta­rsi dell’adozione, pretendono spesso una sorta di «naturalità» parziale, conquistat­a con uteri in affitto o altri espedienti più o meno artificial­i.

E allora come conciliare il naturale desiderio di crescere dei bambini con il diritto degli stessi ad avere un padre e una madre piuttosto che un genitore 1 e un genitore 2? Il problema sta, in fondo, in quel desiderio, appunto, di onnipotenz­a riscontrab­ile ormai in tanti altri aspetti della vita («Vorrei occhi turchesi e non castani»; «vorrei essere un genio e non un uomo qualsiasi»; «vorrei essere il capo dello Stato»; «vorrei figli anche se sono gay»…).

Forse una soluzione ci sarebbe: perché, invece di voler essere genitori a tutti i costi, non ci si può contentare di essere tutori e farsi chiamare «zii»? Ho conosciuto più di un orfano cresciuto da due zie, o da un nonno e uno zio: amati, coccolati, sereni quanto può esserlo una persona normale. Il bambino sarà un nipotino, non un figlio: ma non avrà problemi a farlo sapere, sentendosi in sostanza uguale agli altri.

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