Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I giorni caldi delle banche
Conuna metafora abusata potremmo dire che sono giorni caldi per le banche venete, impegnate su più fronti. La temperatura è alta, ma potrebbe esserlo molto di più.
Con una metafora abusata potremmo dire che sono giorni caldi per le banche venete, impegnate su più fronti. La temperatura è alta, ma potrebbe esserlo molto di più, se non fossimo in Italia, se non fossimo nel Veneto, se il clima, non quello metereologico, ma quello finanziario e politico non fosse quello che sappiamo e che abbiamo già visto all’opera in molte altre occasioni del passato più o meno recente. Una sciocca, nuova disposizione governativa obbliga le banche popolari a fusioni, già viste, che - come tutto ciò che è forzato - introdurranno ulteriori fattori di squilibrio senza diminuirne punto. Nel frattempo almeno due istituti veneti, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, stanno vivendo momenti drammatici (per soci e dipendenti), davanti all’affiorare di vecchi, costosissimi problemi ed errori. Insomma un momentaccio, che però sarebbe ancor più drammatico, se i principi spesso strombazzati (quando si tratta di far pagare i piccoli) di mercato e concorrenza fossero applicati oggi anche in minima parte.
Chiariamo preliminarmente che in Italia e in ambito bancario, il sistema di mercato, come fattore determinante nella formazione della geografia bancaria, non è mai esistito. Paradossalmente l’epoca in cui i governi e la Banca d’Italia ebbero la mano più leggera nel determinarne la struttura fu durante il fascismo. Dal ’45 in poi non si è mossa foglia che la Banca d’Italia non abbia voluto, ogni movimento bancario fu concepito e realizzato sotto pressione esplicita di Via Nazionale. Qui ne abbiamo avuto recentemente prova con Antonveneta, con Lodi e Novara, per non parlare del processo di creazione di Unicredit. Insomma siamo abituati a pagare le conseguenza di decisioni prese altrove, con finalità imperscrutabili e costi riversati sui soliti noti.
Nello specifico il progetto del Banco Popolare di procedere all’assorbimento di Veneto Banca e solo successivamente cercare un’aggregazione sul piano nazionale con un altro soggetto a quel punto di pari o inferiore dimensione, ha una sua logica e i suoi aspetti positivi, nella follia del momento. Veneto Banca, che viaggia in una voragine di perdite (un miliardo l’anno scorso e 213 milioni negli ultimi sei mesi), di fatto sarebbe salvata, e i costi per i soci «minimizzati». In questo, che è il più ottimistico degli scenari, la Banca una volta guidata da Vincenzo Consoli, pagherà sangue e sudore, ma finirà per sopravvivere, come in un contesto normale di applicazione delle regole del mercato e della concorrenza non le sarebbe mai stato consentito. Analoga e forse peggiore la situazione della Popolare vicentina (oltre un miliardo di perdite e un valore delle azioni irreale), che si avvierà a un simile salvataggio soft, per non azzerare il patrimonio, impedire che volino troppi stracci con gli azionisti di maggioranza e i manager, ma di fatto circoscrivendo il cerchio di quanti pagheranno ai soli soci e dipendenti.
Insomma uno scenario tutto sommato non roseo, frutto in parte della crisi, conseguenza soprattutto dei gravi errori del management, ma ancor più di una situazione ambientale inerte, silenziosa e forse complice. Da tempo si sapeva che i problemi all’interno delle banche venete stavano ingrandendosi, ma pochi hanno fatto sentire la propria voce, per sostenere e - se necessario - anche per denunciare. Quando nel breve periodo, apparentemente, tutto sembra filare e i dividendi (anche se ingiustificati) continuano ad affluire nelle tasche dei soci-azionisti, pochi osano sollevare dubbi. È il principio che il denaro dovrebbe tacitare le coscienze, ma come vediamo non funziona mai. Anche questo è un principio di mercato: non serve nascondere lo sporco sotto i tappeti e rimandarne la soluzione. Ora il tempo delle decisioni radicali sta arrivando. Il loro esito non è scontato e sarà meno disastroso, se tutti, istituzioni e gruppi, singoli azionisti e soci faranno sentire la propria voce per contribuire a determinare l’esito di un processo che peserà sulle spalle di tutto il Veneto. Il silenzio non paga.