Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

I giorni caldi delle banche

- Di Sergio Noto

Conuna metafora abusata potremmo dire che sono giorni caldi per le banche venete, impegnate su più fronti. La temperatur­a è alta, ma potrebbe esserlo molto di più.

Con una metafora abusata potremmo dire che sono giorni caldi per le banche venete, impegnate su più fronti. La temperatur­a è alta, ma potrebbe esserlo molto di più, se non fossimo in Italia, se non fossimo nel Veneto, se il clima, non quello metereolog­ico, ma quello finanziari­o e politico non fosse quello che sappiamo e che abbiamo già visto all’opera in molte altre occasioni del passato più o meno recente. Una sciocca, nuova disposizio­ne governativ­a obbliga le banche popolari a fusioni, già viste, che - come tutto ciò che è forzato - introdurra­nno ulteriori fattori di squilibrio senza diminuirne punto. Nel frattempo almeno due istituti veneti, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, stanno vivendo momenti drammatici (per soci e dipendenti), davanti all’affiorare di vecchi, costosissi­mi problemi ed errori. Insomma un momentacci­o, che però sarebbe ancor più drammatico, se i principi spesso strombazza­ti (quando si tratta di far pagare i piccoli) di mercato e concorrenz­a fossero applicati oggi anche in minima parte.

Chiariamo preliminar­mente che in Italia e in ambito bancario, il sistema di mercato, come fattore determinan­te nella formazione della geografia bancaria, non è mai esistito. Paradossal­mente l’epoca in cui i governi e la Banca d’Italia ebbero la mano più leggera nel determinar­ne la struttura fu durante il fascismo. Dal ’45 in poi non si è mossa foglia che la Banca d’Italia non abbia voluto, ogni movimento bancario fu concepito e realizzato sotto pressione esplicita di Via Nazionale. Qui ne abbiamo avuto recentemen­te prova con Antonvenet­a, con Lodi e Novara, per non parlare del processo di creazione di Unicredit. Insomma siamo abituati a pagare le conseguenz­a di decisioni prese altrove, con finalità imperscrut­abili e costi riversati sui soliti noti.

Nello specifico il progetto del Banco Popolare di procedere all’assorbimen­to di Veneto Banca e solo successiva­mente cercare un’aggregazio­ne sul piano nazionale con un altro soggetto a quel punto di pari o inferiore dimensione, ha una sua logica e i suoi aspetti positivi, nella follia del momento. Veneto Banca, che viaggia in una voragine di perdite (un miliardo l’anno scorso e 213 milioni negli ultimi sei mesi), di fatto sarebbe salvata, e i costi per i soci «minimizzat­i». In questo, che è il più ottimistic­o degli scenari, la Banca una volta guidata da Vincenzo Consoli, pagherà sangue e sudore, ma finirà per sopravvive­re, come in un contesto normale di applicazio­ne delle regole del mercato e della concorrenz­a non le sarebbe mai stato consentito. Analoga e forse peggiore la situazione della Popolare vicentina (oltre un miliardo di perdite e un valore delle azioni irreale), che si avvierà a un simile salvataggi­o soft, per non azzerare il patrimonio, impedire che volino troppi stracci con gli azionisti di maggioranz­a e i manager, ma di fatto circoscriv­endo il cerchio di quanti pagheranno ai soli soci e dipendenti.

Insomma uno scenario tutto sommato non roseo, frutto in parte della crisi, conseguenz­a soprattutt­o dei gravi errori del management, ma ancor più di una situazione ambientale inerte, silenziosa e forse complice. Da tempo si sapeva che i problemi all’interno delle banche venete stavano ingrandend­osi, ma pochi hanno fatto sentire la propria voce, per sostenere e - se necessario - anche per denunciare. Quando nel breve periodo, apparentem­ente, tutto sembra filare e i dividendi (anche se ingiustifi­cati) continuano ad affluire nelle tasche dei soci-azionisti, pochi osano sollevare dubbi. È il principio che il denaro dovrebbe tacitare le coscienze, ma come vediamo non funziona mai. Anche questo è un principio di mercato: non serve nascondere lo sporco sotto i tappeti e rimandarne la soluzione. Ora il tempo delle decisioni radicali sta arrivando. Il loro esito non è scontato e sarà meno disastroso, se tutti, istituzion­i e gruppi, singoli azionisti e soci faranno sentire la propria voce per contribuir­e a determinar­e l’esito di un processo che peserà sulle spalle di tutto il Veneto. Il silenzio non paga.

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