Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Il conto del cassone del Mose? Lo paga il porto»
L’accusa degli agenti marittimi: tenuti all’oscuro nonostante il ricorso al Tar per i traffici a rilento
VENEZIA «Il conto del Mose? lo paga il porto». Alessandro Santi, presidente degli agenti raccomandatari e mediatori marittimi del porto è amaro nel commentare la vicenda del cassone del Mose esploso nell’ottobre del 2014. I lavori straordinari per rimediare a quell’incidente, allora, avevano limitato notevolmente le possibilità di traffico al porto di Chioggia.
«La portualità veneziana, che già subirà enormi danni per le limitazioni che si imporranno con l’esercizio del sistema MoSe non deve subire ulteriori aggravi derivanti da costi supplementari per garantire la sicurezza del cantiere - dice Santi - ma questo criterio è stato correttamente applicato solo in alcune circostanze. In altre circostanze, invece, Magistrato Alle Acque e Consorzio Venezia Nuova non hanno accettato di farsi carico dei maggiori costi che causano al Porto e ci hanno costretto a fare ricorsi al Tar e intentare cause civili».
Il Tar, allora, aveva dato ragione al Consorzio. Santi, però, sostiene che durante il procedimento a loro non era mai stato detto che quel cantiere improvviso era stato realizzato per questioni di emergenza. Anzi, si era parlato di normali lavori di manutenzione ordinaria. « I danni sono enormi - continua il presidente - perché si può ipotizzare che i porti di Venezia e Chioggia possano essere esclusi definitivamente dalla dinamica dei flussi internazionali delle merci. Esclusione, dovuta proprio ai maggiori costi del Mose che si sta già verificando, dati alla mano, al Porto di Chioggia che in questi ultimi mesi ha perso traffico a causa dei costi dei lavori sul cassone».
Il punto è che Santi, quando ha saputo del cassone, è caduto dalle nuvole. «Il Consorzio Venezia Nuova - dice - ha negato in causa che le motivazioni che hanno determinato la necessità di intervenire sul cassone erano legate a problemi tecnici di “straordinaria manutenzione”. In altre parole, il Consorzio davanti al giudice ha cercato di negare che esistesse un problema tecnico-costruttivo».
I commissari replicano che il Tar, a differenza dei ricorrenti, sapeva quali fossero i termini della questione, e per questo avrebbe rigettato la sospensiva, per permettere il proseguo dei lavori in quell’unico periodo dell’anno in cui si potevano svolgere per varie esigenze tecniche. «Ma allora perché negare che le esigenze di aumentare i servizi ed i costi per il porto, erano legate solo a bisogni del cantiere? Sarà una questione interna del Consorzio capire cosa è successo e chi dovrà pagare, ma perché cercare di scaricare i costi sulla città e sul porto, che le opere del Consorzio dovrebbero proteggere?»