Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Profughi «accolti» dai giudici, i dubbi dei commissari
Profughi accolti dai giudici dopo i ricorsi contro il no delle commissioni territoriali. Scoppia il caso in Veneto. I commissari insistono: seguiamo le direttive del Viminale. Bitonci: «Una beffa».
PADOVA Dalle aule di tribunale all’arena politica. La questione è quella delle migliaia di migranti che stanno presentando ricorso al tribunale di Venezia dopo essersi visti rifiutare il riconoscimento dello status di rifugiati dalle commissioni territoriali di Padova e Verona.
Secondo l’ordine degli Avvocati, se il trend dei primi mesi si confermerà, entro la fine dell’anno saranno circa tremila i profughi che avranno chiesto il gratuito patrocinio (ne hanno diritto in quanto indigenti) per chiedere ai giudici di ribaltare i pareri dei commissari. Finora, a molti di loro è andata bene: più della metà dei ricorsi è stata accolta consentendo agli immigrati di ottenere il via libera a rimanere in Italia.
«Oltre al danno, la beffa tuona il sindaco di Padova, il leghista Massimo Bitonci - oltre ai milioni di euro spesi per mantenere migranti economici, che spesso finiscono per delinquere, ai contribuenti tocca sopportare e pagare i ricorsi di chi, richiedente asilo, vede respinta la sua domanda dalla commissione territoriale».
Da gennaio ad aprile, sono state già 810 le richieste di gratuito patrocinio da parte di richiedenti asilo. Il rischio, concreto, è che la raffica di ricorsi presentati dai migranti finisca per intasare una macchina della Giustizia già messa in ginocchio dalla cronica carenza di personale.
«L’accoglienza dei cosiddetti profughi, così come viene imposta dal Governo - conclude Bitonci - oltre a essere un business per le cooperative che se ne occupano, un’offesa ai nostri disoccupati totalmente privi di aiuti, oltre a contribuire all’insicurezza delle nostre città, rischia di dare una mazzata finale alla Giustizia di questo Paese. Invece di pagare le spese legali a chi non ha dimostrato di essere un rifugiato, Renzi assuma magistrati e faccia velocizzare i processi».
La questione non è soltanto politica. Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Venezia, Paolo Maria Chersevani, parla di «una situazione insostenibile, ormai siamo al collasso», ma anche i commissari che ogni giorno, ormai da anni, si occupano di valutare le richieste d’asilo parlano di «rispetto per l’indipendenza della magistratura» ma anche di «amarezza» nel vedere le loro decisioni ribaltate dai giudici del tribunale civile. Perché la situazione è chiara: le stesse persone, le medesime storie di disperazione, vengono valutate in modo diametralmente opposto.
Il presidente della commissione per il riconoscimento della protezione internazionale di Padova (competente anche per le province di Venezia e Rovigo), Antonio Roccoberton, si è già espresso, spiegando che «per quanto ci riguarda dobbiamo attenerci alla direttive del Viminale, ed è ciò che continueremo a fare».
Ieri è intervenuta la presidente della commissione di Verona (che ha competenze anche su Vicenza, Treviso, Belluno e Trentino Alto Adige), Maria Teresa Pirrone: «Il nostro esame comprende sia la regione di origine dei richiedenti, per stabilire se è compresa nell’elenco delle zone considerate a rischio di conflitto armato, sia le storie personali, per capire se effettivamente siano a rischio di persecuzioni nel caso tornassero in patria. Circa il 70 per cento delle richieste vengono respinte perché le vicende che ci raccontano vengono ritenute non credibili perché ci troviamo di fronte a uomini e donne in fuga dalla povertà, e non dalla guerra o dal terrorismo. Fare una corretta “scrematura” delle richieste è fondamentale proprio per garantire la protezione a chi effettivamente rischia la vita».
Il problema nasce dal fatto che commissari e giudici si basano spesso su parametri diversi. Per fare un esempio, i delegati del Viminale individuano i Paesi a rischio sulla base delle indicazioni Onu, mentre nelle ordinanze del tribunale spesso si cita «Viaggiaresicuri» il sito del ministero rivolto agli italiani che vanno all’estero. «Ma è difficile mettere sullo stesso piano turisti e persone che in quel Paese sono nate e cresciute», confida il componente di una commissione. La replica è sempre la stessa: se uno Stato è pericoloso per gli italiani come potrebbe essere sicuro per un profugo?