Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Passione sadomaso alla Biennale Il caso finisce alla Corte europea
Arte e religione L’avvocato cattolico Cacciavillani chiede il risarcimento per i danni morali subiti dal balletto andato in scena nel 2007. Ricorso bocciato dalla Cassazione. «Diritti della persona violati, denuncerò i magistrati»
«L’allora sindaco Riccardo Selvatico non intuiva certo quali e quanti grattacapi doveva procurargli quel quadro!», scrisse Romolo Bazzoni, storico della Biennale. E se oggi l’ente non commenta, basta ripercorrere la storia a partire da quel quadro di Giacomo Grosso, protagonista della prima Esposizione internazionale d’arte del 1895 – un feretro con cinque figure femminili nude, che scatenò le polemiche dell’allora patriarca Giuseppe Sarto (poi papa Pio X) –, oppure la proiezione nel 1934, alla seconda edizione della Mostra del cinema, di Estasi, il film censurato e con la fama di contenere il primo nudo integrale della storia. Questo per dire che a Venezia non si batte ciglio per la decisione della Corte di Cassazione di bocciare (come peraltro accaduto nei due precedenti gradi di giudizio) il ricorso di Ivone Cacciavillani, decano degli avvocati amministrativisti veneti e cattolico praticante, che da un decennio battaglia con la Biennale chiedendo un risarcimento per i danni morali subiti dalla messa in scena di «Messiah Game», balletto che rileggeva in chiave sadomaso la Passione di Gesù. «Sulla porta del mio studio c’è scritto “no pasaran” - replica il combattivo avvocato - Farò ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo, denuncerò per falso in atti giudiziari i magistrati della terza sezione della Cassazione. Denuncio tutti».
La vicenda parte nel 2007, Biennale Danza. Il curatore era Ismael Ivo e il tema era «Body & Eros». Tra gli spettacoli invitati c’è appunto il balletto del coreografo tedesco Felix Ruckert. Prime anticipazioni, titoli di giornali. C’è chi parla di «sadomaso della Passione». Parte la polemica, nell’agone entra anche l’allora Patriarca Angelo Scola, che ne chiede la sospensione. A quel punto Cacciavillani, famoso perché già nel 1988 aveva fatto causa contro L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, avvia le carte bollate e chiede i danni. Dice di essere turbato da quelle notizie, anche se non ha visto lo spettacolo. Nei tre gradi di giudizio però i magistrati gli danno torto, da ultima la Cassazione con una sentenza pubblicata giovedì, che l’ha condannato anche a risarcire 13 mila euro di spese legali. La programmazione di una manifestazione artistica – affermano gli «ermellini» – è «espressione di una libertà garantita dalla Costituzione» e, dato che siamo in uno Stato laico, nessuno può chiedere a un ente come la Biennale di non accogliere delle rappresentazioni solo perché «sospettate di offendere il sentimento religioso di qualcuno». E dunque, scrivono i giudici, «è da escludere che l’organizzazione di uno spettacolo artistico possa, di per sé sola, costituire violazione del personale sentimento religioso di un singolo cittadino».
Cacciavillani, però, non molla. «Lo Stato ha speso del denaro pubblico, a cui ho contribuito anche io, per invitare questo balletto che offende platealmente la religione spiega - Si parla di diritti inviolabili della persona, sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, ma uno di questi è appunto il rispetto assoluto». I giudici hanno però messo davanti gli interessi dello Stato. «E sbagliano, sono rimasti fermi allo Statuto albertino, mentre la persona deve venire prima di tutto», continua. Tra l’altro nel corso delle udienze, il collegio sarebbe incorso in un errore che Cacciavillani non intende far passare. «Il relatore aveva detto che la Biennale è un ente privato, ma io ho dimostrato che è sottoposto al controllo della Corte dei Conti - afferma è un fatto grave, che configura un falso in atti giudiziari. E denuncerò anche gli altri giudici che non hanno trasmesso gli atti alla procura di Perugia». Una guerra di principio, ovviamente. Anche perché, come insegna il caso Berlusconi, a Strasburgo passano anni per la fissazione delle udienze. «Manderò una fotocopia della carta d’identità, per mostrare che ho appena compiuto 85 anni e chiedere che l’udienza venga fissata presto», continua il legale.
La domanda è scontata: e se ad essere presa di mira fosse stata la religione islamica? «Non rido sul muso a un musulmano, non prendo in giro il “pancione” di Buddha - conclude - Lo spirito dei tempi è che non si può apparire bacchettoni o baciapile, ma si rispettano i musulmani solo per paura degli attentati». Nei giorni scorsi, tra l’altro, il gip di Venezia Barbara Lancieri, come chiesto dal pm Stefano Buccini, aveva archiviato le accuse di vilipendio alla religione contro il registra Ulrich Seidl e l’attrice Maria Hofstatter per il film «Paradise Faith», proiettato alla Biennale nel 2012, in cui la protagonista si masturbava con un crocifisso.