Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LE PAROLE DEI MAGISTRATI
Verrebbe da cavarsela con uno sconsolato «solo in Italia…». Ma la vicenda del giudice di Treviso Angelo Mascolo, che impauritosi per un incidente increscioso (un inseguimento da parte di un’auto che aveva superato «in modo brusco», parole sue), sente il bisogno di dichiarare urbi et orbi che d’ora in poi girerà armato (senza porto d’armi: privilegio riservato ai soli magistrati), e che lo Stato non protegge i cittadini, esce dalla commedia di varietà provincial-surreale per diventare specchio di vizi più profondi e gravi. Non solo perché l’idea di un magistrato che invita a farsi giustizia da sé è un’ovvia contraddizione in termini: verrebbe da chiedergli perché lavora per lo Stato proprio nel settore dell’amministrazione della giustizia, e magari di restituire lo stipendio malguadagnato, se, come sostiene, è con così poco merito. «La legge è, infatti, ordine», scriveva Aristotele nella Politica: se al giudice in questione viene il sospetto che lo Stato sia diventato il garante del disordine anziché il tutore della legge, forse farebbe bene a trarne qualche conseguenza. La cosa è ancora più grave perché non si tratta di parole in libertà, ma scritte in una lettera che il magistrato ha inviato a un quotidiano e delle successive interviste, che, come quella apparsa ieri su questo giornale, ne aggravano il contenuto.
Lasciando pure perdere le involontarie ironie del racconto (la roboante denuncia dell’assenza dello Stato proprio dopo averlo incontrato nella forma di una pattuglia dei Carabinieri), è proprio il succo che è indigeribile: la generica accusa che «lo Stato ha perso completamente il controllo del territorio nel quale scorrazzano impunemente delinquenti di tutti i colori», la denuncia dello «scarso rigore della magistratura» (troppo facile chiedersi da che pulpito…), il lamento privo di senso delle proporzioni, trattandosi di un inseguimento dopo un sorpasso, per cui se «avessi sparato sarei andato incontro quantomeno alla rovina economica» per colpa dell’«iradiddio dei processi da parte dei miei colleghi». Nelle interviste successive è anche peggio: «Lo Stato ha abdicato il suo ruolo, la legge tutela il colpevole». Fino alle citazioni in libertà del Maresciallo Pétain, affermazioni come «l’Occidente è sotto assedio e noi disquisiamo », o il richiamo al benefico uso della forza da parte di quel fulgido esempio di civiltà giuridica che fu la «Rivoluzione francese, simbolo della civiltà vera, occidentale, non di quella dei cammellieri», e pazienza per i processi popolari e la ghigliottina.
Certo, c’è da migliorare la sicurezza reale e percepita, e riformare la legge sulla legittima difesa. Ma tutto questo, con le dichiarazioni di Mascolo, non c’entra nulla. Qui siamo oltre, nei contenuti. Ma anche dentro a un’abitudine tutta italiana all’eccessiva loquacità di troppi giudici, che invece di parlare con le sentenze, come dovrebbero – e come fanno i molti magistrati che fanno correttamente il proprio lavoro, impegnandosi sulle frontiere vere dell’impegno civile, contro le mafie, la corruzione, il terrorismo – si costruiscono la vanità facile di una visibilità sproporzionata, e in troppi casi delle carriere anche politiche parallele, con la complicità di media e opinione pubblica, che danno a quanto detto dai magistrati, spesso, una spazio e un valore spropositato, come si trattasse di profezie oracolari e non, come in questo e in altri casi, di chiacchiere da bar. E’ auspicabile un intervento del Csm e dell’Anm, se gli organi di rappresentanza e di autogoverno della magistratura vogliono dimostrare di non essere solo i garanti di interessi corporativi, tutelando sempre i giudici e mai sanzionandone. Anche se questo costerà il veder affibbiare al magistrato in questione una patina da «eroe» e magari una candidatura da parte di una politica capace di strumentalizzare anche il valore sacro della legge – garanzia di tutti – a fini di parte.