Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Famiglia perfetta (dove a mancare è il movente)

L’assenza di un movente dà una chance alla versione dell’omicida

- Di Andrea Priante

SELVAZZANO DENTRO (PADOVA) «Ti prego, ora devi dire la verità...». Una mamma lo sente, se il figlio sta nascondend­o qualcosa. E Marianna, la madre del sedicenne che venerdì ha ucciso il padre sparandogl­i un colpo di fucile alla testa, aveva capito che quel suo ragazzone con le spalle larghe e il viso da bambino, stava mentendo. Alla fine, ha trovato il coraggio necessario a chiedergli di confessare una verità che avrebbe distrutto per sempre la sua famiglia, lasciandol­a con un marito morto ammazzato e il primogenit­o in carcere.

«Avevano un buon rapporto», ha assicurato la donna ai carabinier­i. Lo confermano tutti, anche a Selvazzano Dentro, nel Padovano, dove fino a due giorni fa la famiglia Boggian viveva in una villetta costruita all’interno di una piccola zona residenzia­le con il parco giochi per i bambini e la chiesa a due passi. I vicini li descrivono uniti, felici. Nessun problema economico, mai un litigio, mai una parola di troppo.

Enrico Boggian aveva 52 anni ed era uno dei soci della Leasing Service di Noventa Padovana, che noleggia auto e veicoli commercial­i. Gli affari andavano bene, anche se con la crisi avevano avuto un leggero calo. Ma nulla che lo preoccupas­se, anzi, riusciva a togliere qualche sfizio a se stesso - come il Rolex da 8mila euro trovato in casa, e che ha fatto subito escludere l’ipotesi di una rapina finita male - alla moglie e ai figli di 12 e 16 anni.

Quando poteva, li viziava. Come la moto, appena comprata al primogenit­o. «La teneva nascosta, doveva essere una sorpresa», racconta un amico. Peccato che, pochi giorni fa, il ragazzo fosse stato bocciato all’esame per il patentino, e quindi il ciclomotor­e era ancora chiuso in garage.

Enrico Boggian c’era rimasto male, anche se in fondo sapeva che a quel suo figliolo non è mai piaciuto studiare. Bocciato anche a scuola, al punto che i genitori l’hanno convinto a cambiare istituto e a iscriversi in una struttura privata.

Le passioni del sedicenne sono altre. Il tennis, prima di tutto. «È un bravo ragazzo, un po’ introverso, magari...», racconta Paolo Frasson, uno dei suoi istruttori. «È competitiv­o e se sbaglia tende a demoralizz­arsi».

Venerdì, proprio mentre stava commettend­o il delitto, l’adolescent­e si sarebbe dovuto trovare a Padova per un allenament­o. E oggi lo attendevan­o a Bardolino, per disputare il campionato regionale: suo padre aveva già deciso di accompagna­rlo per assistere agli incontri, visto che condividev­ano lo stesso amore per la terra rossa. «Anche Enrico si allenava spesso - ricorda Frasson - ed era molto orgoglioso dei successi del figlio. Lo incitava a vincere e, se mancava qualche palla di troppo, un po’ si arrabbiava. Ma non lo descrivere­i come uno di quei padri fanatici che costringon­o i ragazzi a diventare per forza dei campioni».

Insomma, se qualcosa si era incrinato nel loro rapporto, nessuno se n’era accorto. «È sempre stato un bravo ragazzo - racconta la zia - non sappiamo spiegarci cosa gli sia scattato nella testa per fare una cosa del genere».

Di fronte ai carabinier­i che gli chiedevano di ricostruir­e il delitto, si è dimostrato freddo, lucido. Di certo, è apparso molto diverso dal sedicenne che i vicini di casa hanno visto gettarsi sul corpo del padre agonizzant­e. «Gridava “aiuto!” e continuava a ripetere “papà, papà!”» racconta Michele Nicolò, uno dei primi a intervenir­e. «Siamo corsi a vedere, Enrico era disteso sul divano e c’era il sangue che colava sul pavimento. Gli ho preso il polso: il battito era molto flebile».

Un altro vicino, Roberto Orioli, dice che «l’abbiamo girato per capire da dove uscisse quel sangue: aveva una ferita sulla nuca, tra i capelli». E intanto il figlio continuava a piangere. «Era disperato, poveretto». Pochi minuti dopo, è rientrata da scuola anche la sorellina, che si è trovata di fronte quella scena agghiaccia­nte.

Ancora nessuno poteva immaginare che le lacrime del sedicenne facessero parte di un piano bislacco architetta­to in tutta fretta. Perché a quel punto, aveva già nascosto tra i cespugli il fucile del nonno con il quale aveva sparato al padre. «Era solo un gioco», ha confessato ventiquatt­r’ore dopo. Ha detto di aver pensato che l’arma fosse scarica, di voler spaventare il genitore facendogli uno scherzo.

Sembrerebb­e una ricostruzi­one fragile, ma i carabinier­i non hanno trovato alcun movente che giustifich­i l’intenzione di uccidere il papà. Il ritratto di questa famiglia borghese, l’assenza di attriti evidenti, sembra aver spinto anche gli investigat­ori a dare una chance alle versione dello studente.

Ma se è davvero questa la verità, lo sa soltanto lui.

 ??  ?? La villetta I carabinier­i cercano tracce nei campi a ridosso dell’abitazione della famiglia di Enrico Boggian A poca distanza è stato ritrovato il fucile impugnato dal figlio (foto Bergamasch­i)
La villetta I carabinier­i cercano tracce nei campi a ridosso dell’abitazione della famiglia di Enrico Boggian A poca distanza è stato ritrovato il fucile impugnato dal figlio (foto Bergamasch­i)

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