Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Incinta, le chiedono di pagare la sostituta

Treviso, la Cgil denuncia l’assurda prassi di un imprendito­re: «La dipendente non era arrabbiata le sembrava solo strano». L’intervento ha evitato la beffa: «In troppi cavalcano la disperazio­ne»

- TREVISO Silvia Madiotto

Non si è nemmeno arrabbiata. Stupita, certo, ma non arrabbiata. Come se fosse quasi scontato, come se potesse andare peggio di così. Quando il titolare le ha detto che sarebbe stata lei, incinta di pochi mesi, a dover pagare lo stipendio del suo sostituto per la durata della maternità, e quando le ha detto che in mancanza di questa garanzia avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni, ci ha pensato un po’ e ha sospettato che qualcosa non andasse. È stato il sindacato a cui si era rivolta, la Cgil di Treviso, a dirle che non erano ipotesi accettabil­i e che avrebbe difeso lei e il suo diritto di mamma lavoratric­e. Ma rischia di essere solo la punta di un iceberg perché emerge un caso non unico e nemmeno così raro.

La storia è di quelle che lasciano un fondo di amarezza benché si sia risolta nel migliore dei modi. Si svolge in una piccola azienda artigiana del settore cartografi­co della Marca, due dipendenti, la famiglia coinvolta nella gestione e nella produzione: una sintesi di rapporti umani e profession­ali paradigmat­ica nell’imprendito­ria del Nordest. Fra i dipendenti c’è anche una venticinqu­enne apprendist­a che, qualche giorno fa, comunica al titolare di essere incinta. È una notizia che riempie di gioia una donna ma che, consapevol­mente, pone anche dei dubbi su quale sarà la reazione del datore di lavoro. Quante se ne sentono, in giro, fra dimissioni in bianco e contratti non rinnovati a causa di un pancione. La giovane ne parla quindi al titolare che la pone subito davanti a un bivio: «Mi ha proposto che, durante la maternità, dia io a loro i soldi per pagare il mio sostituto – ha raccontato al sindacato -. Mi è parso strano, ma se non lo faccio vogliono che mi dimetta. Altrimenti temo che mi licenziera­nno loro». Il suo datore di lavoro infatti ha opposto la spesa che avrebbe dovuto sostenere per anticipare l’Inps, un costo ritenuto insostenib­ile per l’attività.

Nicola Atalmi, membro della segreteria della Cgil, dopo il contatto con la ragazza ha sgranato gli occhi e chiesto subito un incontro con l’artigiano. «La storia ha avuto un happy ending, l’azienda assumerà un sostituto che pagherà mentre la maternità sarà, come da prassi, sostenuta dall’Inps. La cosa che mi ha sorpreso di più è che la lavoratric­e non fosse scandalizz­ata, lo trovava sempliceme­nte strano – spiega -. Il suo contratto di apprendist­ato, concluso il periodo di prova, le dava il diritto alla maternità ma lei non lo sapeva. E non è un caso unico». E continua: «Titolari che avanzano richieste inaudite, non solo nei casi di maternità, e pensano che tutti i ragazzi siano disperati al punto da considerar­e un’opportunit­à di lavoro come un favore. Chiedono al dipendente di licenziars­i volontaria­mente per non sostenere ulteriori spese. Ma vengono da noi giovani bisognosi di una massiccia educazione civica sui diritti e sul lavoro. La ragazza in questione non sapeva che una donna incinta non può essere licenziata ed è francament­e inaccettab­ile».

C’è un altro elemento che Atalmi evidenzia a partire da questo caso: «Non voleva che usassimo toni troppo duri per non incrinare il rapporto con l’azienda. Le ho fatto notare che se erano arrivati al punto di volerla licenziare, il timore di incrinare ancora di più il rapporto era surreale. Succede spesso che i lavoratori non vogliono arrivare alle vertenze per lo stesso motivo, come se i diritti venissero dopo i rapporti con l’azienda».

Scuote la testa Mario Pozza, presidente della Camera di Commercio di Treviso e Belluno e imprendito­re artigiano: «Non credo che siano casi diffusi, mi sembra più un caso limite. Non credo che il mondo dell’imprendito­ria sia ancora così arretrato. Però è vero che per la piccola azienda, che si tratti di artigianat­o o di servizi, una maternità talvolta è un problema, al di là del costo in sé che poi viene recuperato e compensato. Per quei sei mesi, o per l’anno di aspettativ­a, i più fortunati inseriscon­o qualcuno che già conosce il mestiere, ma non è facile. Spesso il sostituto va formato e sul più bello, quando ha imparato, deve tornare a casa». Lancia quindi una proposta: «Potrebbero essere utili delle agenzie specializz­ate nel creare figure profession­ali “muletto” nei settori che hanno maggiore necessità. C’è bisogno di specializz­azione».

Atalmi I lavoratori conoscono poco i loro diritti e non vogliono vertenze  Pizziol Tolti i riferiment­i alle armi per i funerali in chiesa

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In gravidanza Una donna incinta si è sentita chiedere dal datore di lavoro il pagamento della sua sostituta

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