Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Salvezza delle ex Popolari «Alla fine deciderà l’Ue» Oggi i conti delle perdite
Il salvataggio delle due ex popolari venete? «La palla è nelle mani della Commissione europea». Cerca di rimanere sul generale, Danièle Nouy, presidente del consiglio di vigilanza Bce, ieri alla presentazione del rapporto annuale. Ma alla fine, trascinata dalle domande dei giornalisti, è costretta a scendere nello specifico sulla ricapitalizzazione delle due venete in mano al fondo Atlante. Così la temuta presidente francese della vigilanza fa il punto: «È risaputo che le due banche hanno richiesto la ricapitalizzazione precauzionale - dice, riferendosi alla richiesta di usare i fondi statali per l’aumento -. Abbiamo già condiviso le informazioni con la Commissione europea».
Per capire a che punto stia la vicenda, bisogna leggere tra le righe di quel che la Nouy dice. Primo, sul piano di fusione, quando dice che «dopo la ricapitalizzazione precauzionale, o dopo parte di essa, c’è un piano che sarà discusso dalla commissione». E secondo, quando aggiunge: «Può essere che sia sviluppato come iniziativa privata o che vada avanti nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale». E terzo, quando specifica: «Questo va discusso con la Commissione. Ci sono più attori nelle ricapitalizzazioni precauzionali. Ed è la Commissione ad avere il ruologuida». Dunque, dalle parole della Nouy, si capisce ancora una volta che la fusione tra le due banche è in pista, ma che non è scontata. E anche che la Nouy rilancia il ruolo di Atlante come possibile attore. In una posizione che sarebbe di maggioranza nell’aumento di capitale delle due venete (le necessità attese sono ancorate a un dato di 4,7 miliardi), dando fiato a una versione che dà credito ad una discussione ripresa tra i soci del fondo sul dirottare o meno sull’aumento di capitale gli ultimi 1,7 miliardi destinati all’acquisto delle sofferenze. Superando l’altra tesi, che vorrebbe invece l’ultima mossa di Atlante sulle due venete nello spendere proprio quegli 1,7 miliardi nell’acquisto delle loro sofferenze.
Discussione ancora non chiusa, con posizioni dei soci lontane. Ma è chiaro il ragionamento per il sì: con un aumento di capitale sui 5 miliardi a cavallo tra pubblico e privato, che scendono a 4 dopo aver scontato la conversione di un miliardo di euro di obbligazioni subordinate, i 1.700 milioni di Atlante 2 salirebbero a 2.140, con i 440 che avanzerebbero dei 940 messi a gennaio, dopo aver pagato per le transazioni con i soci azzerati 500 milioni (440 per il 70% dell’offerta di transazione, a cui si aggiungono i 60 destinati ai casi sociali). Cifra sufficiente - anche senza sapere se porterà a qualcosa la trattativa con l’Ue per non considerare totalmente azzerati i 2,5 miliardi messi lo scorso anno per conservare la maggioranza, lasciando il resto allo Stato. Sarebbe l’unico modo per Atlante di puntare ancora a recuperare l’investimento (con in più un premio di maggioranza) quando sarà venduta la nuova banca nata dalla fusione, invece di perdere tutto gettando ora la spugna. E poi pare ragionevole che le banche socie, restìe a metter altri soldi nelle venete, considerino anche quanto costerebbe un’eventuale risoluzione delle due ex popolari in termini di contributi obbligatori al fondo di risoluzione. Per dire, stando al bilancio di Intesa Sanpaolo, la risoluzione di Etruria e delle altre 3 è costata 3,7 miliardi, di cui 2,3 al sistema bancario. Si vedrà. Il quadro resta difficile, il clima teso. Intorno alle due banche si susseguono le voci di dimissioni, a partire da quelle del presidente di Bpvi, Gianni Mion, per altro smentite senza mezzi termini. In più Bce avrebbe chiesto la scorsa settimana ulteriori chiarimenti sulle due operazioni separate di aumento di capitale, mentre non sarebbe ancora giunta la dichiarazione di fabbisogno di nuovi fondi.
È in questo clima che oggi Vicenza affronta il cda per chiudere il bilancio 2016 (l’attesa è per una perdita di 1,8 miliardi su un totale di 3 tra le due ex popolari), dopo aver inserito i dati provvisori dell’offerta di rimborso del 15% ai soci azzerati, che scade oggi alle 13.30. Le adesioni sulle azioni nel perimetro dell’offerta, che riguarda 169 mila soci, sarebbero salite al 68% e nel caso di Vicenza avrebbero superato i 66 mila soci su 94 mila. I due cda a Vicenza e Veneto Banca convocati oggi dovranno decidere se rinunciare, come appare probabile, alla soglia dell’80% fissata per giudicare valida l’offerta.
La preoccupazione restano soprattutto sui tempi di un’operazione che nel tira e molla della trattativa con Roma, Francoforte e Bruxelles rischiano di dilatarsi a dismisura. Insopportabili per due banche in crisi. Situazione tesa anche perché comunque la Nouy ha ripetuto anche ieri, con un nuovo riferimento alla risoluzione delle banche, che la Bce «non teme di usare tutti gli strumenti di cui dispone» per consolidare il sistema, riducendo il numero di banche, pur se a domanda precisa, ha detto di «parlare in generale» e non delle due venete. E comunque è chiaro che la vicenda di Popolare di Vicenza e Veneto Banca non è ancora al punto di Mps (dov’è arrivata solo ora dopo esser partita a Natale), in cui la banca è dichiarata «solvibile» e la ricapitalizzazione con i fondi statali possibile. E tuttavia si spera che almeno la dichiarazione della Nouy che affida alla Commissione europea il ruolo di guida dia più spazio alla trattativa politica con Bruxelles su un piano di rilancio che si preannuncia comunque pesante, a partire dagli esuberi. Piano che deve dimostrare che la futura banca tornerà a guadagnare. Anche se poi, a stretto giro di posta, la commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, che ha in mano il dossier a Bruxelles, si è precipitata a dichiarare, in senso opposto, che il «principale protagonista è la vigilanza, mentre il ruolo della Commissione è assicurare che le regole siano rispettate in caso si usino aiuti di Stato». E il rimpallo riparte.