Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Letto, tivù e psicoterapia La nuova vita del 16enne tra gli altri baby-detenuti
Il «Cpa» è il Centro di prima accoglienza del carcere minorile di Treviso, all’interno del quale spesso vivono i minorenni ancora in attesa della decisione del giudice
La stanza, il letto. Dalla sala arriva il suono della tivù, che ancora trasmette le immagini della «sua» villetta a Selvazzano Dentro. C’è un rumore di passi: sono gli agenti in borghese. Lo controllano spesso, per evitare gesti inconsulti.
Il sedicenne accusato dell’omicidio del padre viene sorvegliato giorno e notte, all’interno del Centro di prima accoglienza del carcere minorile di Treviso. Un ambiente «asettico» - lo descrive così chi c’è stato - dove i minorenni restano in attesa che un giudice decida del loro destino.
All’interno del Cpa di Treviso, sono stati ricavati alcuni appartamenti. È in uno di questi che, da sabato pomeriggio, alloggia il figlio di Enrico Boggian. Per ora, resta isolato dagli altri ragazzi. Gli unici contatti sono con gli agenti della polizia penitenziaria e con lo staff di assistenti e psicologi che dovrà portarlo a prendere coscienza di quanto accaduto venerdì nella taverna di quella villetta, quando ha imbracciato il fucile del nonno e ha sparato a suo padre.
In queste ore il sedicenne si sta confrontando con il rimorso: se all’inizio si era mostrato freddo e distaccato con i carabinieri che lo stavano interrogando, adesso il suo atteggiamento sembra essere cambiato. Anche per questo, trascorre le giornate a chiacchierare con gli operatori che mangiano e vivono con lui ventiquattro ore su ventiquattro, senza abbandonarlo un solo secondo. Ogni gesto avviene sotto lo sguardo attento dei poliziotti che indossano abiti civili. È l’unica concessione a una prigione che - questo non va mai dimenticato - ospita pur sempre dei ragazzini.
Nelle giornate trascorse al Cpa di Treviso, l’adolescente padovano ha potuto vedere la televisione e partecipare alle terapie con gli psicologi, ma per ora gli è stato vietato qualunque tipo di contatto con gli altri «ospiti». Sono gli adulti, la sua unica compagnia.
Le notti, invece, le affronta in completa solitudine, all’interno di una stanza spoglia che viene tenuta sotto controllo dagli agenti attraverso uno spioncino sulla porta.
Per ora rimarrà nel Centro di prima accoglienza. Se però il giudice dovesse accogliere la tesi della procura, per il sedicenne si apriranno le porte dell’altra area della struttura, quella riservata ai detenuti minorenni che scontano una pena. Hanno tra i 14 e i 21 anni, per la maggioranza sono stranieri.
La situazione, come denunciato in passato dai sindacati, non è delle migliori a causa del sovraffollamento e della precarietà dei servizi. In questo contesto, operano diverse associazioni che cercano di migliorare la vita dei ragazzi, offrendo loro corsi di studio (dalle elementari fino agli indirizzi superiori), di teatro, musica e di formazione professionale.
Non sarà facile crescere tra quelle mura. Quanto ci dovrà rimanere, lo decideranno i giudici. La cronaca conta diversi precedenti, più o meno simili. Come quello di Damiano, il 17enne che nel 1991 aiutò il veronese Pietro Maso a massacrare i genitori; o di Erika, che a 16 anni - con la complicità del fidanzatino Omar - uccise la madre e il fratellino a Novi Ligure. Entrambi sono tornati liberi con largo anticipo rispetto ai termini fissati dalla condanna. avesse il colpo in canna».
Se effettivamente si fosse trattato solo di un incidente, non ci sarebbe stato bisogno di pensare a una storia così elaborata. Eppure ai carabinieri che venerdì pomeriggio sono arrivati nella villetta di Selvazzano, ha spiegato di essere uscito in bicicletta subito dopo aver pranzato con il padre e di essere rincasato solo verso le 14,20. A quel punto, dopo aver chiesto alla vicina di aprirgli il cancello elettrico, ha finto di trovare il corpo del padre, richiamando con le sue grida il vicinato.
Una storia pensata proprio per collocarsi fuori casa nel momento in cui è stato sparato il colpo letale, un paio di minuti prima delle 14. E, mentre gli inquirenti continuano a scavare nella vita privata della famiglia Boggian alla ricerca di possibili moventi, oggi, assistito dall’avvocato Ernesto De Toni, il sedicenne si presenterà di fronte al giudice del tribunale dei Minori di Venezia, la dottoressa Valeria Zancan. E anche a lei, molto probabilmente, ripeterà quello che continua a ripetere da sabato: è stato un incidente.
La verità su come siano andati i fatti però arriverà anche dall’autopsia il cui incarico verrà affidato mercoledì dalla Procura dei Minori alla dottoressa Alessia Viero dell’Istituto di medicina legale di Padova. L’esame verrà eseguito entro il fine settimana. Importante capire se Boggian potesse essere salvato o meno con soccorsi tempestivi. Come invece sarà compito della procura di Padova svelare in che modo il minorenne abbia potuto prendere senza grossi problemi una carabina. A rischiare una denuncia per omessa custodia, è colui che il sedicenne ha sempre chiamato «nonno» e che in realtà è, da trent’anni, il compagno della nonna paterna. Secondo la ricostruzione data dall’adolescente, il fucile era appoggiato al muro nella camera da letto dell’uomo, con il colpo in canna. Se così fosse provato anche dalle indagini, l’anziano rischierebbe un’inchiesta per violazione della legge che impone, a chi ha un’arma, di conservarla in una stanza non accessibile ai minorenni e in un armadio chiuso a chiave.