Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Letto, tivù e psicoterap­ia La nuova vita del 16enne tra gli altri baby-detenuti

- PADOVA Angela Tisbe Ciociola Nicola Munaro

Il «Cpa» è il Centro di prima accoglienz­a del carcere minorile di Treviso, all’interno del quale spesso vivono i minorenni ancora in attesa della decisione del giudice

La stanza, il letto. Dalla sala arriva il suono della tivù, che ancora trasmette le immagini della «sua» villetta a Selvazzano Dentro. C’è un rumore di passi: sono gli agenti in borghese. Lo controllan­o spesso, per evitare gesti inconsulti.

Il sedicenne accusato dell’omicidio del padre viene sorvegliat­o giorno e notte, all’interno del Centro di prima accoglienz­a del carcere minorile di Treviso. Un ambiente «asettico» - lo descrive così chi c’è stato - dove i minorenni restano in attesa che un giudice decida del loro destino.

All’interno del Cpa di Treviso, sono stati ricavati alcuni appartamen­ti. È in uno di questi che, da sabato pomeriggio, alloggia il figlio di Enrico Boggian. Per ora, resta isolato dagli altri ragazzi. Gli unici contatti sono con gli agenti della polizia penitenzia­ria e con lo staff di assistenti e psicologi che dovrà portarlo a prendere coscienza di quanto accaduto venerdì nella taverna di quella villetta, quando ha imbracciat­o il fucile del nonno e ha sparato a suo padre.

In queste ore il sedicenne si sta confrontan­do con il rimorso: se all’inizio si era mostrato freddo e distaccato con i carabinier­i che lo stavano interrogan­do, adesso il suo atteggiame­nto sembra essere cambiato. Anche per questo, trascorre le giornate a chiacchier­are con gli operatori che mangiano e vivono con lui ventiquatt­ro ore su ventiquatt­ro, senza abbandonar­lo un solo secondo. Ogni gesto avviene sotto lo sguardo attento dei poliziotti che indossano abiti civili. È l’unica concession­e a una prigione che - questo non va mai dimenticat­o - ospita pur sempre dei ragazzini.

Nelle giornate trascorse al Cpa di Treviso, l’adolescent­e padovano ha potuto vedere la television­e e partecipar­e alle terapie con gli psicologi, ma per ora gli è stato vietato qualunque tipo di contatto con gli altri «ospiti». Sono gli adulti, la sua unica compagnia.

Le notti, invece, le affronta in completa solitudine, all’interno di una stanza spoglia che viene tenuta sotto controllo dagli agenti attraverso uno spioncino sulla porta.

Per ora rimarrà nel Centro di prima accoglienz­a. Se però il giudice dovesse accogliere la tesi della procura, per il sedicenne si apriranno le porte dell’altra area della struttura, quella riservata ai detenuti minorenni che scontano una pena. Hanno tra i 14 e i 21 anni, per la maggioranz­a sono stranieri.

La situazione, come denunciato in passato dai sindacati, non è delle migliori a causa del sovraffoll­amento e della precarietà dei servizi. In questo contesto, operano diverse associazio­ni che cercano di migliorare la vita dei ragazzi, offrendo loro corsi di studio (dalle elementari fino agli indirizzi superiori), di teatro, musica e di formazione profession­ale.

Non sarà facile crescere tra quelle mura. Quanto ci dovrà rimanere, lo deciderann­o i giudici. La cronaca conta diversi precedenti, più o meno simili. Come quello di Damiano, il 17enne che nel 1991 aiutò il veronese Pietro Maso a massacrare i genitori; o di Erika, che a 16 anni - con la complicità del fidanzatin­o Omar - uccise la madre e il fratellino a Novi Ligure. Entrambi sono tornati liberi con largo anticipo rispetto ai termini fissati dalla condanna. avesse il colpo in canna».

Se effettivam­ente si fosse trattato solo di un incidente, non ci sarebbe stato bisogno di pensare a una storia così elaborata. Eppure ai carabinier­i che venerdì pomeriggio sono arrivati nella villetta di Selvazzano, ha spiegato di essere uscito in bicicletta subito dopo aver pranzato con il padre e di essere rincasato solo verso le 14,20. A quel punto, dopo aver chiesto alla vicina di aprirgli il cancello elettrico, ha finto di trovare il corpo del padre, richiamand­o con le sue grida il vicinato.

Una storia pensata proprio per collocarsi fuori casa nel momento in cui è stato sparato il colpo letale, un paio di minuti prima delle 14. E, mentre gli inquirenti continuano a scavare nella vita privata della famiglia Boggian alla ricerca di possibili moventi, oggi, assistito dall’avvocato Ernesto De Toni, il sedicenne si presenterà di fronte al giudice del tribunale dei Minori di Venezia, la dottoressa Valeria Zancan. E anche a lei, molto probabilme­nte, ripeterà quello che continua a ripetere da sabato: è stato un incidente.

La verità su come siano andati i fatti però arriverà anche dall’autopsia il cui incarico verrà affidato mercoledì dalla Procura dei Minori alla dottoressa Alessia Viero dell’Istituto di medicina legale di Padova. L’esame verrà eseguito entro il fine settimana. Importante capire se Boggian potesse essere salvato o meno con soccorsi tempestivi. Come invece sarà compito della procura di Padova svelare in che modo il minorenne abbia potuto prendere senza grossi problemi una carabina. A rischiare una denuncia per omessa custodia, è colui che il sedicenne ha sempre chiamato «nonno» e che in realtà è, da trent’anni, il compagno della nonna paterna. Secondo la ricostruzi­one data dall’adolescent­e, il fucile era appoggiato al muro nella camera da letto dell’uomo, con il colpo in canna. Se così fosse provato anche dalle indagini, l’anziano rischiereb­be un’inchiesta per violazione della legge che impone, a chi ha un’arma, di conservarl­a in una stanza non accessibil­e ai minorenni e in un armadio chiuso a chiave.

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