Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Mi rendo conto io stesso che è una sentenza importante Certo i casi sono tanti e non vale per tutti»
VERONA «Che si tratti di una sentenza importante me ne rendo conto io stesso. Attenzione, però, a definirlo un verdetto-pilota». Parola di Massimo Vaccari, il giudice civile del Tribunale di Verona che, con il provvedimento che ha depositato venerdì in cancelleria, ha condannato la Popolare di Vicenza a risarcire una cliente che aveva sottoscritto le azioni dell’istituto.
Giudice Vaccari, la sua sentenza è la prima che vede una risparmiatrice avere la meglio sulla banca berica. Si tratta di un verdetto destinato a fare da apripista?
«Non esistono cause giudiziarie identiche alle altre né, tantomeno, vicende umane assimilabili tra loro. Anche in tema di risarcimento bancario, quindi, bisognerà che ciascun magistrato valuti caso per caso».
Ha altre cause in corso simili a quella con cui ha appena dato ragione alla pensionata veronese?
«Davanti al sottoscritto pende un secondo contenzioso tra un risparmiatore e la stessa Popolare di Vicenza. In altri due procedimenti, invece, il risarcimento danni viene chiesto a Veneto Banca».
Si tratta di vicende tra loro accostabili?
«Non direi proprio: in un caso, tra l’altro, la controparte dell’istituto bancario non risulta un privato bensì una società. A una prima disamina delle vicende, ho già potuto constatare la loro diversità l’una dall’altra. A cominciare dalla contrattualistica: le clausole firmate dai clienti e le condizioni che all’epoca erano state loro sottoposte dalla banca, sono tutt’altro che identiche tra loro».
Tornando alla vicenda della risparmiatrice veronese, qual è stata la motivazione chiave in base a cui dovrà essere risarcita?
«Alla correntista la Popolare di Vicenza non aveva fornito le adeguate informazioni sulla tipologia delle azioni che stava andando a sottoscrivere e, soprattutto, sui rischi che avrebbe corso».
Ovvero?
«Affidandosi e fidandosi dell’istituto di credito, aveva investito i suoi risparmi in titoli illiquidi, cioè non trattati sul mercato regolamentato. Significa che la signora non aveva la certezza, una volta che avesse deciso di vendere, di recuperare perlomeno la stessa cifra investita».
Come si è difesa la banca?
«Mentre la correntista affermava di non aver avuto alcuna informazione sui pericoli a cui si stava esponendo con quell’investimento, al contrario la Popolare ha sostenuto durante la causa che tutti i chiarimenti necessari sarebbero stati contenuti e debitamente illustrati nella contrattualistica. Ma così non è risultato dagli atti».
Per decidere, quindi, si è basato soprattutto sul contratto firmato all’epoca dalla signora?
«Non soltanto su quello: nel corso delle udienze, è stato anche chiamato a testimoniare un funzionario della banca che tuttavia non è stato in grado di ricordare particolari utili e, inoltre, è stata esaminata una precisa indicazione sulla Consob che obbliga gli istituti a fornire tutte le informazioni necessarie».
La risparmiatrice veronese sostiene che già a settembre del 2014 aveva chiesto alla banca di poter vendere quelle azioni perché voleva aiutare la figlia, ma l’istituto di credito le aveva risposto «picche».
«In effetti, la Popolare le rispose di essere impossibilitata a riacquistarle». Ora, salvo ribaltoni nel già annunciato appello, dovrà risarcirgliele con tanto di interessi maturati e spese legali.
L’informazione Alla correntista non era stato spiegato in maniera adeguata il tipo di titolo che aveva sottoscritto e soprattutto i rischi a cui andava incontro
Le differenze Non esistono cause giudiziarie uguali alle altre: in particolar modo qui, clausole e condizioni fissate dalle banche sono diverse caso per caso