Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il ciclismo e il legame con il Veneto

- di Daniele Rea

Torna il Giro d’Italia sulle strade del Veneto. Due passaggi sulle Dolomiti, una tappa con arrivo ad Asiago che potrebbe dire ancora molto sulla classifica finale. Torna il Giro per la sua centesima edizione e, come sempre, sarà una festa di popolo, perché il legame tra il Veneto e la bicicletta, tra la bicicletta e la terra e tra chi la abita e il ciclismo è qualcosa di assolutame­nte speciale, oltre ogni genere di retorica. Lunga, lunghissim­a l’avventura veneta sulla due ruote. Nel lavoro, per esempio, perché dal garzone del panettiere all’operaio era quello il mezzo più veloce ed economico per andare a lavorare. Il vittoriese Vito Favero, che arrivò secondo al Tour de France 1958 dietro a Charly Gaul, non a uno qualsiasi, capì che poteva fare del ciclismo una profession­e andando e tornando ogni giorno da casa al posto di lavoro da lattoniere. Andava forte e lo dimostrò con i fatti, non a ciance. Ma la storia della bici accompagna quella dell’uomo, nel secolo breve. Nei sorrisi e nelle lacrime, in pace e in guerra. Ottavio Bottecchia, vincitore al Tour nel 1924 e 1925, si mise a correre per fame, come ammise lui stesso senza problemi. Decise di darsi al ciclismo perché sulle linee della Grande Guerra, da bersaglier­e, in bici andava come un fulmine come portaordin­i. Il ciclismo gli diede fama, onori, agiatezza economica e, alla fine, anche la morte. Una parabola completa e, per questo, insuperabi­le. Si correva per la fama, sì, e per la fame. In tanti trovarono il modo di sbarcare il lunario facendo il corridore, qualcuno ha ottenuto grandissim­i risultati nelle corse a tappe, nelle classiche, su pista. Pochi i campioni, a dire il vero, in rapporto al numero di praticanti: molti gli onesti pedalatori, quello sì.

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